Europa, se ci sei batti un colpo

La sensazione di sorpresa con cui è stato accolto il bombardamento russo di ieri sulle città ucraine, e in primo luogo sulla capitale Kiev, è in gran parte figlia della nostra inclinazione a confondere i desideri con la realtà. Un piccolo esempio: già sei o sette mesi fa leggevamo sui nostri giornali che la Russia era ormai a corto di missili.

Ieri ne ha lanciati 83 in mezza giornata, e il ministero della Difesa ucraino dice di aver anche abbattuto 13 droni kamikaze. Da molto tempo ci diciamo che l’economia russa sta per crollare, e di certo naviga tra mille difficoltà. Ma ora gli analisti prevedono per lei, nel 2022, un calo del Pil del 4,5%, nulla di decisivo.

Allo stesso modo abbiamo sopravvalutato il dissenso degli intellettuali e degli artisti, e le manifestazioni di piazza contro la guerra, illudendoci che Vladimir Putin potesse essere sostituito da un nuovo Gorbaciov, pacifista e incline a intendersi con l’Occidente. E invece proprio il bombardamento di ieri, esemplare nella sua brutalità, ci dice il contrario. Putin lo ha deciso per «vendicare» l’attentato ucraino sul Ponte di Crimea, certo. Ma ancor più per dare soddisfazione agli ambienti che premono perché dalla «operazione militare speciale» si passi a una guerra vera, senza remore e senza limiti.

Putin è in difficoltà: aveva sperato di occupare una parte importante dell’Ucraina muovendo solo un contingente ristretto di volontari a contratto, senza coinvolgere i comuni cittadini russi e quindi senza sconvolgere l’opinione pubblica. La strategia è fallita e ora ambienti diversi, ma importanti per la sua struttura di potere, reclamano spazio. Il leader ceceno Kadyrov, che ha mandato migliaia di soldati a combattere in Ucraina. Evgenyj Prigozhin, fondatore dell’esercito mercenario Wagner e reclutatore di detenuti. I vertici della Guardia Nazionale, un corpo di 300 mila uomini creato nel 2016 dallo stesso Putin, e dei servizi di sicurezza. Da mesi accusano i vertici delle forze armate, in primo luogo il ministro della Difesa Shoigu e il capo di stato maggiore Gerasimov, di miopia e inettitudine. Putin li difende perché, con loro, finirebbe sotto accusa anche la sua strategia ma ha dovuto mostrare la faccia feroce, colpendo appunto Kiev e il resto dell’Ucraina.

Anche Zelensky e i suoi, però, vivono ore drammatiche. In mezza giornata i russi hanno bucato le difese antiaeree di una dozzina di città e lasciato quasi metà dell’Ucraina senza luce e senz’acqua. E questo proprio mentre gli ucraini celebravano i risultati dell’offensiva su Kar’kiv e su Kherson ed esultavano per il colpo messo a segno contro il Ponte di Crimea, la struttura che «lega» alla Russia continentale la Crimea riannessa nel 2014. Eppure era chiaro che la forza militare russa non era esaurita, e nemmeno la decisione dei suoi vertici politici nel perseguire la folle impresa avviata il 24 febbraio. E altrettanto chiaro è che persino gli Usa cominciano a pensare che con questa guerra si è andati troppo oltre. Sono stati i servizi segreti Usa a passare al New York Times le rivelazioni sulla responsabilità degli ucraini nell’assassinio della figlia di Aleksandr Dugin e nell’attentato al Ponte, proprio dopo che il presidente Biden e il segretario di Stato Blinken avevano speso parole caute ma significative sulla necessità di aprire un dialogo con la Russia. Un monito discreto a usare cautela che Zelensky, convinto di avere comunque l’appoggio occidentale, ha respinto al mittente. Con le conseguenze che abbiamo visto ieri.

Insomma, per ragioni diverse Mosca e Kiev sono in difficoltà. E la durata di questa guerra, che non ha fatto altro che incrudelirsi in una specie di pareggio coperto di sangue, stanca il mondo, da Washington a Pechino, da Ankara a Nuova Dehli. Sarebbe il momento giusto per un’iniziativa politica dell’Europa, ovvero del continente più coinvolto e insieme meno influente nello sviluppo della situazione in Ucraina. Si sa, Regno Unito, Polonia e Paesi Baltici premono perché si sfrutti questa occasione per spezzare le ambizioni della Russia. Bisogna quindi sperare che Francia, Germania e Italia sappiano tornare all’altezza delle loro tradizioni e producano una proposta di «pace giusta» che Russia e Ucraina possano almeno discutere. Perché c’è una sola cosa che conta, ora: fermare il disastro.

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