Falsa telefonata oltre l’imbarazzo

ITALIA. Sta facendo il giro del mondo il caso dello scherzo telefonico subìto da Giorgia Meloni ad opera di due comici russi (legati ai servizi segreti di Mosca, l’Fsb) che si sono spacciati per un fantomatico leader africano.

La cosa è molto imbarazzante per palazzo Chigi anche se la disavventura di Meloni non è certo l’unica inflitta da Lexus e Vovan - così si chiamano i due comici-spioni: anche Erdogan, Boris Johnson, Pedro Sanchez, Christine Lagarde sono stati ingannati. Però il fatto rimane e l’opposizione italiana è andata subito all’attacco della presidente del Consiglio. Certo, come dice il ministro Crosetto, «se al telefono ti dicono che ti devono passare il leader X o Y, tu dai per scontato che dall’altra parte ci siano davvero X o Y, e se sei il presidente del Consiglio non ti metti certo tu a fare la verifica». Giusto.

Quindi la testa che probabilmente presto cadrà sarà quella del consigliere diplomatico della premier, un ambasciatore peraltro prossimo alla pensione: è lui che dirige l’ufficio che ha il compito di controllare l’accesso telefonico al capo del governo. Se la cortina di sicurezza è stata così clamorosamente «bucata», la responsabilità è dei funzionari controllori, a partire dal loro capo, appunto l’ambasciatore (il quale pare che sia un «falco atlantista», per cui si è diffuso il timore che possa essere sostituito da un diplomatico più morbido verso i russi). Insomma, qualche testa rotolerà. Però, come ha avvertito il capo del Copasir Guerini (ex ministro della Difesa), queste cose non devono più accadere perché sono chiaramente «malevole», e in questo aggettivo c’è tutto l’allarme per come è stato messo in crisi il meccanismo di sicurezza nazionale da parte di russi che rappresentano un Paese nei confronti del quale l’Italia ha una posizione sanzionatoria, al pari dei suoi alleati europei ed americani della Nato, e che conducono anche nei nostri confronti una guerra ibrida fatta di fake news e giochetti mediatici.

C’è poi l’altro aspetto su cui ha infierito l’opposizione protestando per la «inadeguatezza della leader della destra al governo»: quello che effettivamente Giorgia Meloni ha detto nei sedici minuti di colloquio (che sembrava più che altro un’intervista, ed è strano che lei non se ne sia accorta) col sedicente leader africano. La frase su cui di più si è appuntata l’attenzione di tutti (quindi anche degli alleati, degli americani, dei russi, degli ucraini, ecc.) è che, secondo la leader di uno dei Paesi del G7, in questo momento nella guerra russo-ucraina «c’è molta stanchezza da tutti i lati». È un’ammissione della stanchezza dell’Occidente nel sostenere le ragioni di Kiev anche mediante l’invio di armi? La maggioranza e gli esponenti più vicini a palazzo Chigi si sono precipitati a precisare che non è così, che il sostegno a Kiev è fuori discussione, e che la frase rispecchia ciò che il governo italiano dice sia in pubblico che in privato, e cioè che «siamo vicini al momento in cui tutti capiranno che abbiamo bisogno di una via d’uscita, e il problema è trovarne una che possa essere accettabile da entrambi senza distruggere il diritto internazionale». La previsione deriva dalla constatazione che la controffensiva ucraina non è stata risolutiva e che la guerra, a questo punto, «potrebbe durare anni se non proviamo a trovare qualche soluzione». Su questo Meloni rivela di avere «alcune idee su come gestire la situazione».

Ci sono poi alcuni passaggi critici nei confronti dell’insensibilità dell’Europa per l’assalto migratorio alle coste italiane e anche all’indirizzo della politica francese in Africa e in Libia. Affermazioni che probabilmente in queste ore palazzo Chigi e la Farnesina staranno chiarendo con Bruxelles e con Parigi. E dovrebbe finire così.

In fondo, come ha osservato un commentatore, «poteva andare molto peggio».

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