Fisco globale riforma storica

È davvero un peccato che gli scontri fuori dall’Arsenale di Venezia, dov’è in corso il G20 dell’economia, ovvero il summit dei ministri finanziari delle prime venti potenze mondiali, abbiano turbato un accordo storico, basato su più punti. Si potrebbe dire – senza retorica – che il mondo volta pagina, anzi che riprende nella direzione intrapresa dopo la parentesi erratica della presidenza di Donald Trump e naturalmente dell’emergenza Covid. La prima notizia è che gli Stati si sono accordati su un «meccanismo di fissazione del prezzo delle emissioni di Co2», a patto ovviamente che sia un uso appropriato. Eppure non è passato troppo tempo dal «niet» dell’ex presidente americano sugli accordi di Parigi.

Nel comunicato conclusivo di questa lunga giornata vi è un accenno all’inflazione e ai tassi di cambio, da tenere sotto controllo attraverso le banche centrali per garantire la stabilità dei prezzi, anche se non è certo la priorità in questo momento. La priorità è la ripresa del circolo virtuoso domanda-produzione-lavoro. Su cui i ministri convenuti a Venezia nutrono un forte ottimismo, compreso il commissario per gli Affari economici francese Le Maire («abbiamo previsioni di un solido rimbalzo economico, pandemia permettendo»).

L’impressione è che i Grandi della Terra stiano cercando misure di sostegno e soprattutto risorse per uscire dalla recessione mondiale in cui li ha fatti precipitare la pandemia, chi più chi meno. A pagare il conto dovrebbero essere quei colossi, soprattutto della new economy (ormai diventata old, visto che il gruppo borsistico è nato nel 1971) che negli ultimi anni hanno fatto il buono e il cattivo tempo in campo fiscale di fronte a fatturati stratosferici, sfruttando l’immaterialità dei loro prodotti.

Si parla anche di «sforzi concertati per riformare il Wto», ovvero l’Organizzazione mondiale del commercio, che soffre evidentemente di squilibri e asimmetrie legate alle anomalie dell’Estremo Oriente, a cominciare dalla Cina. Ormai siamo vicinissimi al traguardo. Il prossimo passo sarà il G20 di Washington a ottobre, dove verranno definiti gli ultimissimi parametri di questa nuova «architettura fiscale».

Le multinazionali (digitali e non) verranno tassate nei Paesi dove effettivamente vendono i loro prodotti per una quota significativa e non dove hanno la sede legale, come Hong Kong, Dublino o Amsterdam. In cosa consiste questa quota? Finora si è parlato del 20 per cento del fatturato, ma molti Paesi vorrebbero alzarla al 25. Quanto all’altro aspetto, quello dell’aliquota minima globale, si punta a superare il 15 per cento, in modo da cancellare definitivamente il «dumping fiscale» dei Paesi «pirata».

Vi è infine la consapevolezza che il mondo non uscirà dalla pandemia se lascerà indietro i Paesi del Terzo e del Quarto Mondo, le cui percentuali di vaccinati, in questo momento, sono irrisorie. Questo non solo per motivi morali, di solidarietà, ma anche per evidenti rischi di contagio. Se pensiamo che le varianti fino a questo momento sono centinaia, molte delle quali provenienti proprio da queste aree, è chiaro che solo un’opera sistematica e globale di attività di immunizzazione e prevenzione potrà debellare definitivamente il dramma che ci tormenta da almeno un anno e mezzo. Molto incoraggianti le parole della segretaria al Tesoro Janet Yellen, secondo la quale «il presidente Biden ha detto di voler riportare l’America nel palcoscenico mondiale, e ora state vedendo perché. Ritornare fa l’America migliore. Possiamo cooperare in una maniera che ci rende più competitivi nell’economia globale. Possiamo risolvere assieme i problemi che da soli non possiamo risolvere». L’autunno ci dirà se sono parole al vento o un progetto che si concretizza perché, come ha detto al G7 inglese Biden, «l’America è tornata».

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