Giustizia, il governo vuole votare in fretta

ITALIA. Oggi alla Camera è previsto il terzo voto parlamentare sulla riforma costituzionale della giustizia e la separazione delle carriere, la cosiddetta «riforma Nordio».

La maggioranza sta procedendo a passo spedito, anche con l’approvazione di sedute-fiume, per arrivare a realizzare il sogno che fu di Silvio Berlusconi ma che mai gli fu concesso di realizzare sia per i suoi guai giudiziari e le numerose leggi ad personam, sia perché i suoi alleati Fini e Casini in realtà non avevano alcuna intenzione di assestare questo colpo di karate sulla testa dei giudici italiani, e soprattutto delle Procure, il vero obiettivo della riforma.

In queste ore le opposizioni protestano per la velocità che è stata impressa all’esame del testo, parlano di «umiliazione del Parlamento» e di strozzatura della discussione su temi come il raddoppio del Csm (uno per la magistratura giudicante e uno per i pubblici ministeri) e l’estrazione a sorte degli organi di autogoverno considerata da Elly Schlein uno «scempio».

Ma le opposizioni, sapendo di non avere una concreta possibilità di fermare la macchina avviata dal Guardasigilli e dal centrodestra, guardano soprattutto al referendum confermativo, sperano di riuscire a mobilitare il popolo della sinistra, anche quello che ormai diserta regolarmente le urne, in nome della «democrazia in pericolo», della «svolta autoritaria», della «delegittimazione della magistratura», della sua autonomia e indipendenza, e accusando il governo «di voler mettere sotto il proprio controllo l’azione delle procure» indicando, come per esempio in America, le priorità dell’azione investigativa «facendo la faccia feroce verso gli spacciatori e i ladri, e usando la mano lieve con i realti dei “colletti bianchi”» e della classe dirigente.

Il caso Almasri

Tutte accuse che lasciano Nordio abbastanza indifferente anche perché il ministro sembra ben più preoccupato dell’inchiesta che riguarda sul caso Almasri lui e il suo braccio destro, il capo di gabinetto di via Arenula Giusy Bartolozzi, detta «la zarina» o anche «il vero ministro». «Lei non si tocca» continuava a ripetere Nordio anche ieri pomeriggio alla Camera, «ha la mia piena fiducia come del resto si evince dalla memoria difensiva depositata in Giunta delle autorizzazioni da lui, dal collega Piantedosi e dal sottosegretario Mantovano. Ma mentre loro tre godono dell’immunità, Bartolozzi, essendo «laica», può essere inquisita dalla Procura di Roma. Dunque il tentativo del governo è allargare lo scudo di cui godono anche all’alta funzionaria. Si potrebbe anche sollevare un conflitto di attribuzione tra la Camera e i giudici che dovrebbe essere sollevato dal presidente di Montecitorio, Fontana.

Giudici pronti allo sciopero

In questo clima infuocato, con i giudici sul piede di guerra e pronti allo sciopero, la maggioranza cerca in ogni modo di mostrarsi compatta. A creare però momenti di tensione è ancora una volta Matteo Salvini, colto durante una festa all’ambasciata cinese, mentre abbracciava calorosamente l’ambasciatore russo Paramonov il quale proprio nella stessa circostanza, poco prima di salutare il vicepresidente del Consiglio, aveva trovato il modo di attaccare ancora una volta l’appoggio del governo italiano all’Ucraina. Salvini, per non ingenerare equivoci, ha poi ripetuto che l’Italia non ha bisogno di armarsi (nonostante l’allarme del ministro della Difesa Crosetto) e che il vero pericolo non viene dai missili nucleari della Russia ma semmai dall’immigrazione clandestina dal Nord Africa. Tutti temi che sicuramente saranno rilanciati con enfasi al prossimo raduno di Pontida. Meloni e Tajani dovranno rispondere ancora una volta.

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