Giustizia se decide
l’umore del popolo

Giovedì scorso alla Camera si è scatenata una bagarre durante l’esame del disegno di legge di riforma costituzionale sul referendum propositivo. Il Pd ha abbandonato l’Aula, dopo che il presidente Roberto Fico aveva respinto la richiesta di espellere il deputato M5S Giuseppe D’Ambrosio, per aver mimato il gesto delle manette nei confronti di un collega
del Pd. Mentre uscivano dall’Aula, Fico si è rivolto agli esponenti Dem con un «arrivederci», visto che, ha spiegato, «mi state salutando» (salvo poi scusarsi). A quel punto sono stati lanciati dei fogli contro il presidente dell’Assemblea. La bagarre ha fatto ovviamente notizia, invece del funzionamento del nuovo strumento consultivo voluto da 5 Stelle e Lega e dei pericoli connessi. In particolare il referendum propositivo può intervenire anche in materia penale. I cittadini avrebbero ad esempio la possibilità di approvare leggi che aumentano le pene per determinati reati o che modificano i meccanismi processuali.

Il rischio non calcolato (o forse sì?) è che venga aperto un varco alle pulsioni giustizialiste, in voga di questi tempi (si legga a questo proposito l’interessante saggio del sociologo francese Didier Fassin «Punire. Una passione contemporanea», con riferimenti anche alla situazione italiana: come si concilia il dato del calo del 77,9% degli omicidi volontari nel nostro Paese tra il 1992 e il 2018, col fatto che, nello stesso arco di tempo, il problema della sicurezza è diventato il primo fattore di angoscia collettiva?). Con 500 mila firme i cittadini potranno presentare una proposta di legge che, se non approvata dal Parlamento entro 18 mesi, sarà oggetto del referendum per deliberarne l’approvazione. La consultazione sarà valida se il 25% degli aventi diritto avrà votato sì, quorum esteso anche ai referendum abrogativi.

Durante le votazioni alla Camera sono stati bocciati emendamenti di Forza Italia che chiedevano che la consultazione fosse inammissibile in materia di ratifica dei trattati internazionli, elettorale e penale. Il disegno di legge costituzionale infatti, a differenza di quanto in vigore, non impone limiti ai referendum propositivi: i paletti fissati sono solo i principi fondamentali della Costituzione e quelli del diritto europeo e internazionale. Il referendum sarebbe poi oggetto del vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale che vedrebbe così aumentare il suo ruolo di garante della tenuta democratica del Paese.

Ma la possibilità di intervenire su riforme del sistema penale (che peraltro richiederebbe competenze) e con un quorum così basso desta preoccupazione. Si tratta infatti di un ambito estremamente sensibile. Basti pensare alle polemiche su sentenze ritenute non abbastanza dure, eppure emesse applicando leggi dello Stato. O alle reazioni aggressive che subisce chi non è allineato al giustizialismo più cieco. Nei giorni scorsi è successo al Garante dei detenuti Mauro Palma, per aver pubblicato un rapporto critico su alcuni aspetti del regime carcerario speciale applicato ai detenuti condannati o accusati di associazione mafiosa. Sulla pagina in rete del «Sappe», uno dei sindacati della polizia penitenziaria, sono apparsi commenti di iscritti al sindacato, dunque che portano una divisa, con insulti gravissimi al Garante che con quel documento non faceva altro che il suo lavoro e il suo dovere (le pene andrebbero giudicate dalla loro efficacia e non dalla durezza). L’Unione delle camere penali, in una lettera pubblica di condanna dell’aggressione, si è chiesta giustamente se il ministero della Giustizia non ravvisasse in quei commenti gli estremi per avviare procedure disciplinari, mentre il sindacato li ha tardivamente rimossi dal proprio sito. Il gesto delle manette mimato alla Camera dal deputato M5S D’Ambrosio è un cattivo presagio.

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