Governo, una ripresa autunnale complicata

IL COMMENTO. La ripresa autunnale della politica si prospetta complicata per il governo e la maggioranza. «Complicata», del resto, è la parola che ha usato il ministro dell’Economia Giorgetti parlando a Rimini della prossima legge di Bilancio. L’esponente leghista, noto per la sua cautela, non si è risparmiato nel mettere le mani avanti per avvertire che, tra le promesse fatte in questi mesi e la loro realizzazione, ci sarà parecchio spazio da riempire.

«Non si potrà fare tutto», è stata la premessa: «Bisognerà stabilire delle priorità» ne è la conseguenza naturale. E le direttrici su cui il governo si muoverà sarà il tentativo di alzare i salari (quindi rendendo stabile il doppio taglio del cuneo sul costo del lavoro) e stimolare la crescita dell’economia. Tutto dentro una cornice di grande incertezza, quella della riforma del Patto di stabilità e delle nuove regole che verranno stabilite in sede comunitaria sul debito pubblico. Noi, ha spiegato Giorgetti, chiediamo che la spesa per investimenti venga privilegiata e che non si applichino regole pre-pandemia ad una situazione ancora eccezionale in cui occorre aiutare famiglie e imprese ad andare avanti. Giorgetti sa benissimo come i falchi del Nord stiano pesando sulla politica dei tassi della Bce (la cui linea di condotta è stata più volte criticata dall’Italia, sia lato governo che lato Banca d’Italia) e sul dibattito intorno alle nuove regole del Patto.

È chiaro che non possiamo più chiedere proroghe della sospensione del Patto decretata al tempo del Covid («Non è una nostra richiesta») ma è pur vero che il tentativo di scambiare il nostro sì alla riforma del Mes con un nuovo Patto di stabilità più vicino alle esigenze di un Paese indebitato come l’Italia, è un modo abbastanza estremo di reagire ad un’onda rigorista che sembra incurante anche degli effetti recessivi che sta provocando in tutta Europa (a cominciare dalla Germania).

Insomma, per mantenere le promesse - cuneo fiscale, riforma dell’Irpef, riforma delle pensioni, ecc. - si calcola che il governo abbia bisogno di racimolare circa 20-25 miliardi che attualmente non ha. Si prospetta dunque una manovra in deficit? Già il nostro rapporto deficit/Pil è superiore al tetto Ue, non potremmo certo sfondarlo ulteriormente. Il problema è politico, e interpella direttamente la responsabilità della presidente del Consiglio Meloni e non più solamente, come è ovvio, del ministro dell’Economia. È di questo, principalmente, che Meloni e Salvini hanno lungamente discusso ieri per un intero pomeriggio nella masseria pugliese dove la premier sta trascorrendo gli ultimi giorni delle sue ferie estive.

Tra i problemi sul tappeto, la discussa tassa sugli extra profitti delle banche che ha suscitato la contrarietà non solo degli interessati, del mondo dell’economia e di un vasto sistema mediatico, ma anche di un partito della coalizione come Forza Italia. Eppure è stata Giorgia Meloni in persona ad impegnarsi per dare un segnale politico di «politica sociale» tutta a carico degli istituti di credito: ora si sta lavorando perché l’impegno della titolare di Palazzo Chigi non le si ritorca contro e si sta cercando un compromesso che potrebbe trasformare la tassa in una sorta di «prestito forzoso» a tempo e una tantum, insomma un aiuto al governo per circa 3 miliardi. Secondo indiscrezioni, il mondo bancario così si tranquillizzerebbe.

Le opposizioni sono pronte all’attacco: la bandiera del salario minimo per legge può ancora essere utile e si unirà a quelle sulle promesse del governo che, come ha ammesso lo stesso Giorgetti, potranno essere mantenute solo in parte.

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