Hanno rapito
il calcio
La passione
in ostaggio

C’è un dettaglio, in questa vicenda della «Superlega» di calcio, di cui pare importare poco a tutti. La «fanbase», come la chiamano quelli della «Superlega», per far vedere che parlano bene. La fanbase è la gente, altro non sono che gli sportivi. Quelli che vanno allo stadio, o seguono le partite alla tv, fanno acquisti negli store, e dunque in sintesi spendono soldi. Spinti da cosa? Dal gusto della vittoria, persino dal gusto della sconfitta che prelude al gusto della rivincita. Lo sport e il calcio sono questo, e il loro carburante si chiama passione.

Ma attenzione. La vicenda della Superlega è oscena sotto tantissimi punti di vista. Per le modalità, stile banda di mariuoli che nottetempo scassina la cesta dei palloni e la fanno sparire, dichiarando un intero sport proprietà privata, dettando nuove regole, così è se vi piace, e se non vi piace così è lo stesso. Per la tremenda figura raccolta dal presidente della Juventus Andrea Agnelli, che rivestendo incarichi istituzionali oltre che di parte ha sempre detto una cosa - non faremo la Superlega - e poi l’ha fatta. E l’ha fatta da quarto in classifica, con la qualificazione alla vecchia Champions ormai in bilico, non da dominatore incontrastato del calcio italiano. È oscena per i principi: gioca chi diciamo noi, non chi merita. È oscena per la strumentalizzazione del calcio femminile, sbandierato come foglia di fico, un filo di trucco per provare a rendere meno impresentabili le facce dei protagonisti.

Però, attenzione. Perché in questo terremoto non ci sono i buoni (Uefa e Fifa) e i cattivoni della Superlega. Questi semmai sono i disperati, che coperti (non tutti, ma tanti) dai loro debiti altro non hanno da fare che questa mossa disperata, sfrontata, incurante della loro «fanbase», per provare a sopravvivere alle loro stesse gestioni scriteriate, nonché agli innegabili danni del Covid. Però non saremmo oggettivi se nascondessimo ai nostri occhi i danni fatti in questi decenni dalle medesime Uefa e Fifa. Che oggi non ci resti che sperare in loro, è vero. Ma se il calcio è arrivato a questo punto, lo si deve a chi ha ingolfato i calendari a dismisura, generando un mostro che ora non è più sostenibile. La terza competizione europea, ne vogliamo parlare? I mondiali in Qatar, con scandali annessi, ci dicono nulla? La formula della Coppa Italia, in fondo, che taglia fuori le più deboli, ormai da anni, per agevolare semifinali e finali sempre tra le big, non somiglia in qualche modo a questo «circuito chiuso»? Un campionato in cui la disparità è cresciuta in maniera inversamente proporzionale alla competitività di tante squadre, e dunque alla qualità complessiva, davvero non suggerisce riflessioni?

Quindi scagliamo pietre contro la Superlega, per carità, ma guardiamoci anche in casa, perché se questa cosa nasce per gonfiare ancora di più la bolla finanziaria attorno al pallone, va detto chiaro che quella bolla è stata creata quando Andrea Agnelli girava col triciclo, o forse con la biciclettina. Se ora sta finendo un lavoro sporco, non possiamo dire certo che sia stato lui a cominciarlo.

E ora che succede, si domandano tutti. Quasi impossibile dirlo. Le istituzioni sono compatte nel fare muro. Ma una fuga in avanti così clamorosa non si progetta se non si ha ben chiaro che indietro non si torna. Quantomeno, non si torna indietro del tutto, al punto di partenza. L’impressione più realistica è che questo spauracchio sia stato agitato per costringere la Uefa a venire a patti. A cambiare la formula della Champions per fornire più garanzie - di soldi, in primis - alle grandissime del calcio. Perché quelle società avranno anche una «fanbase» di un miliardo di persone, ma una competizione nuova, senza storia, plastificata tipo incontro di wrestling, non è detto che possa davvero scaldare gli animi, e dunque alleggerire i portafogli, degli appassionati. È un ricatto palese, un «all in» ad altissimo rischio. Hanno rapito il calcio, tenendo in ostaggio la passione della gente. Vedremo quale sarà il prezzo del riscatto. Ma a giudicare dalle reazioni anche delle loro tifoserie, questi «grandi» manager hanno fatto male qualche conto. Perché gli sportivi potrebbero anche rispondere che finora hanno sopportato pay tv sempre più esose, spezzatini, anticipi e posticipi degli anticipi. Ma alla fine vogliono vincere o perdere, e questo riscatto magari non lo pagano. Il calcio a circuito chiuso, con la passione, c’entra niente. E se è la passione, in principio, a muovere i soldi, allora Agnelli e i suoi 11 compari un bel giorno potrebbero scoprire che i palloni rubati dalla cesta una notte d’aprile di colpo si sono sgonfiati. Calcialo te, un pallone sgonfio.

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