I 5 Stelle divisi
e quell’ambiguità

Il botto era nell’aria: Di Maio s’è dimesso dal Comitato di garanzia dei 5 Stelle di cui era presidente. Il passo indietro o di lato (vedremo quale dei due) dell’ex capo politico dei grillini segue il duro scontro post Quirinale con il presidente del Movimento, Conte, e porta in superficie, rendendola trasparente, quella resa dei conti che in questi mesi ha vissuto cicli alterni, restando a metà del guado. Ma il contenzioso si può leggere anche in altro modo, più a largo raggio: il ritrovato percorso comune fra Mattarella e Draghi potrebbe aprire una rifondazione del sistema dei partiti. E infatti questa pazza legislatura, iniziata nel 2018 con la massima estensione del populismo, approda ai titoli di coda in modo assai differente. Il cambio di passo impresso da Mattarella e Draghi ha aiutato a superare il punto più alto della crisi.

Si capisce così perché proprio una parte del 5MS e la Lega di Salvini, usciti malmessi dalla battaglia quirinalizia, siano finiti nel testacoda di un populismo in tendenza ripiegamento e oggi ne paghino le conseguenze. Il ministro degli Esteri (un uomo per molte stagioni, lo ha definito Massimiliano Panarari sua «La Stampa») già in questi giorni non nascondeva le perplessità sul suo futuro politico, peraltro corteggiato dal polo centrista in fase di costruzione. Le accuse dei contiani, le vicende politiche per la scelta del Colle e anche la sintonia con il governo: tutto questo ha acuito le distanze fra Di Maio, tra i fedelissimi di Draghi, e Conte. L’inciampo definitivo è stata l’elezione del presidente della Repubblica, quando Di Maio ha fatto asse con il Pd e Conte ha resuscitato l’alleanza con l’ex arcinemico capo della Lega. Il punto di rottura la candidatura del capo dei Servizi, Elisabetta Belloni, voluta da Conte in tandem con Salvini, subito bloccata da Di Maio a da un ampio fronte trasversale.

Quel che è successo ieri è il seguito dell’ultimatum di Conte al titolare della Farnesina, chiamato a «rendere conto di diverse condotte molto gravi». Parole dure per un personaggio ritenuto un buon incassatore dopo le accuse del ministro per la gestione fallimentare dell’operazione Quirinale. Di Maio, evitando il tentativo di finire «processato», ha in sostanza anticipato quella che sarebbe stata la richiesta del presidente del Movimento e nel contempo ha chiesto che nel partito ci sia rispetto per il pluralismo. Un contenzioso che il garante Grillo, peraltro in un momento per lui non particolarmente felice, ha tradotto in modo criptico alla stregua di una rivoluzione democratica chiamata a passare dai «suoi ardori giovanili alla sua maturità». Il Comitato di garanzia, lo ricordiamo, è l’organo che valuta la corretta applicazione dello Statuto, il quale prevede che il presidente (cioè Conte) può essere sfiduciato con delibera all’unanimità dal Comitato di garanzia e/o dal garante, ratificata da una consultazione in rete degli iscritti. In sostanza rimuovere Conte dal suo ruolo è difficile e del resto la figura del presidente è stata cucita su misura all’avvocato pugliese, essendo proprio lui l’estensore del testo.

La storia non finisce qui: per come si presenta, non contempla soluzioni di compromesso e a questo punto esclude qualsiasi ipotesi di diarchia del Movimento, proprio perché ciascuno dei duellanti vuole ampliare il proprio consenso interno ed entrambi hanno seguito schemi inconciliabili nella battaglia quirinalizia. Il contenzioso - in pratica un accumulo velenoso di incomprensioni, valutazioni opposte, rivalità personali - conserva contorni ancora da decifrare con precisione. Sempre che il tutto non si scarichi sul governo proprio mentre l’asse fra Mattarella e Draghi rappresenta una garanzia di stabilità e mentre si stanno creando le condizioni di un chiarimento politico fra il premier e la maggioranza. Lo stesso Conte, ostile (a differenza di Di Maio) alla candidatura di Draghi al Colle, è parso tuttavia collaborativo nel recente incontro con il presidente del Consiglio. In realtà il malessere grillino viene da lontano e appartiene alla natura del Movimento, oltre che l’esito di un’improvvisazione culturale. Dopo essersi dimezzati e aver subito una serie di emorragie, i grillini sono ancora in transito, non si sa bene verso quale prospettiva: grillismo allo stato puro o postgrillismo, addio all’antagonismo e sì al governismo, oppure tutte e due insieme, un po’ movimento e un po’ partito di notabili, leadership anomale, democrazia interna da prendere con le pinze, rapporto fra web e trasparenza. Conte sta provando a incanalare i grillini lungo una traiettoria compatibile con la normalità, non disdegnando però scarti a destra e a manca, una certa ambiguità delle porte aperte e il metodo dei due o tre forni: questo è parso il loro romanzo del Quirinale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA