I Cristiani afghani
testimoni e vittime

Tra chi sta soffrendo per la precarietà e la paura generate dalla conquista del potere da parte dei Talebani in Afghanistan, c’è in particolare la piccolissima minoranza cristiana (16 mila persone di cui un centinaio cattoliche su 38 milioni di abitanti), che non ha mai goduto in quelle terre di una piena libertà religiosa. I imissionari della Chiesa assira d’Oriente predicarono e diffusero il cristianesimo nel Paese, fondandovi nove diocesi nel Paese, la prima a Herat nel 424 dopo Cristo. Questa organizzazione fu però soppressa dalla conquista dei musulmani nel VII secolo. Nel 1919 l’Italia fu il primo Stato a riconoscere l’indipendenza dell’Afghanistan dal decadente Impero britannico.

Per sdebitarsi, il governo afghano chiese a Roma cosa potesse fare. Il nostro governo propose il diritto a costruire un luogo per il culto, che poi infatti nacque: una cappella nell’ambasciata italiana a Kabul. Il Paese è stato, fino al ritorno dei talebani, una Repubblica islamica, dove i culti non musulmani sono proibiti per legge. Sono però nate chiese clandestine. Le notizie ricevute in queste ore dall’associazione « Aiuto alla chiesa che soffre» denunciano la situazione dei leader di queste «istituzioni irregolari» che hanno ricevuto lettere dai talebani con l’avvertimento di «sapere dove sono e cosa stanno facendo. A lanciare l’allarme per ciò che sta accadendo in queste ore è anche Alì Ehsani, esule afghano in Italia che ha scritto il bel libro «Stanotte guardiamo le stelle» (pubblicato da Feltrinelli), secondo il quale «è ripartita la caccia ai cristiani. Una famiglia di Kabul con cui sono in contatto da due giorni ha perso il padre: uscito di casa non vi ha più fatto ritorno. Devono aver scoperto che era cristiano». I cristiani nascosti in Afghanistan sono particolarmente vulnerabili. Prima del controllo talebano, avevano già grandi difficoltà a vivere la loro fede, adesso la situazione è deteriorata.

Il New York Times ha fornito una finestra sulla vita di questi minoranza. «In un umido seminterrato alla periferia di Kabul, Josef legge la sua logora Bibbia blu alla luce di una lanterna a propano. Conserva una croce di legno con scritto un passo del Discorso della Montagna e una cartellina di plastica con i documenti della sua conversione. Sono la ragione per cui si nasconde». Alcuni cristiani noti stanno ricevendo telefonate minacciose: persone sconosciute dicono «stiamo venendo a prenderti». «I talebani ci uccideranno come fa la mafia, senza rivendicarlo» dice un altro cristiano delle chiese clandestine. Negli anni passati un piccolo gruppo di sacerdoti (gesuiti e barnabiti) e religiose (suore di Madre Teresa di Calcutta) è potuto entrare in Afghanistan come operatori umanitari. Una presenza discreta, a servizio della popolazione locale con la quale hanno condiviso le difficoltà sociali ed economiche, una testimonianza di carità aperta a tutti, senza distinzioni religiose. Hanno realizzato opere in campo educativo, tra le quali una scuola per bambini con disabilità psichica. Le attività in questi giorni sono state sospese: troppo pericolosi gli spostamenti. La domanda che suscita più angoscia ora è quella sulla sorte delle persone di cui si sono presi cura: Giovani, ragazzi, disabili ma anche sfollati interni (intanto cresciuti a 400 mila).

Anche la Caritas italiana, impegnata in Afghanistan fin dagli anni ’90, ha deciso di sospendere tutte le attività, «mentre crescono i timori - è scritto in una nota - per la possibilità di mantenere una presenza anche per il futuro, oltreché per la sicurezza dei pochi afghani di confessione cristiana. Assieme al personale delle ambasciate, anche i pochissimi sacerdoti, religiosi e religiose che si trovano a Kabul si stanno preparando al rientro obbligato». La Caritas italiana ha sostenuto in questi anni un ampio programma di aiuti di urgenza, riabilitazione e sviluppo, la costruzione di 4 scuole nella valle del Ghor, il ritorno di 483 famiglie di rifugiati nella valle del Panshir con la realizzazione di 100 alloggi tradizionali per le famiglie più povere e l’assistenza alle persone disabili. Ora l’attività sarà rivolta agli afghani scappati nei Paesi confinanti, Pakistan in particolare. La carità non si ferma: c’è chi ha dato la vita per praticarla.

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