I dubbi su Hormuz e l’Europa esposta

MONDO. Ammesso che sia mai esistito, l’attacco americano in Iran l’ha distrutto. Il ponte immaginario che unisce Giorgia Meloni a Donald Trump non congiunge l’Europa all’America. L’intervento dell’US Air Force in territorio iraniano lo certifica.

Di tutto i Paesi europei hanno bisogno fuori che di un’estensione del conflitto in Medio Oriente. Lo dice la dipendenza energetica della quale soffre il vecchio continente. Il prezzo del petrolio è salito del 4%, ai massimi da gennaio come conseguenza dell’allargamento del conflitto. Il South Pars è il più grande giacimento di gas al mondo. I nostri fornelli vengono anche alimentati con il gas liquefatto che viene dalla parte qatarina del giacimento.

L’Italia è il maggior consumatore di gas e non è certamente suo interesse nazionale favorire un’impennata dei prezzi. Senza contare che il solo dubbio della chiusura dello Stretto di Hormuz porta di per sé ad un’instabilità sui mercati. Il 20% di petrolio e gas del mondo passa da quei trenta chilometri che separano l’Iran dall’Oman e dagli Emirati Arabi Uniti. Così come il 10% dei consumi europei è legato alla transitabilità del Canale di Suez.

Usa e Cina

Il 20% di petrolio e gas del mondo passa da quei trenta chilometri che separano l’Iran dall’Oman e dagli Emirati Arabi Uniti. Così come il 10% dei consumi europei è legato alla transitabilità del Canale di Suez

Trump chiede adesso alla Cina di far pressione sulla dirigenza sciita di Teheran per impedirne la chiusura. E certamente non è convenienza né dell’Iran che trae la sua ricchezza dal petrolio né di Pechino che ne è il principale importatore. Ma l’intervento a gamba tesa degli Usa non lenisce il conflitto e lo consegna alle reazioni emotive. E quindi all’imprevedibilità che domina la scena. Il risultato è che l’Europa è esposta ai quattro venti. L’alleato americano la pianta in asso e segue il percorso indicato da Israele. Un Paese piccolo ma decisivo per la politica americana. È il baluardo dell’Occidente che impone la sua presenza nella regione per interposta persona.

L’idea di esportare la democrazia con le armi non si è rivelata una grande scoperta. L’Iraq è formalmente una democrazia parlamentare ma nei fatti è in mano alle fazioni. In queste parti del mondo prevale il rapporto di sangue o di appartenenza al clan o al gruppo religioso, l’essere parte di una comunità è determinante e crea legami che vanno oltre l’appartenenza partitica, come intesa in Occidente. La Libia è in perenne guerra civile da quando Gheddafi è stato eliminato dall’intervento occidentale a guida francese. Tutto questo ha prodotto solo guai che si sono espressi negli attentati terroristici e nella gestione malavitosa delle migrazioni. Agli occhi americani la presenza e il rafforzamento di Israele nella regione sono visti come elemento di stabilità. Anche perché i costi li sopportano gli europei.

L’Iraq è formalmente una democrazia parlamentare ma nei fatti è in mano alle fazioni. In queste parti del mondo prevale il rapporto di sangue o di appartenenza al clan o al gruppo religioso

La debolezza dell’Europa

Il capo del governo tedesco Friedrich Merz chiarisce che il lavoro sporco del quale ha parlato consiste nell’impedire all’Iran la bomba atomica. Obiettivo condivisibile. Ma il ruolo degli europei non era appunto quello di condurre colloqui con l’Iran e quindi mediare? L’E3, Gran Bretagna, Francia e Germania, lavora da vent’anni. Nel 2015 con la firma a Vienna si raggiunge un’intesa. Ma gli Stati Uniti di Trump dettano la loro agenda e stracciano il tutto. Il problema europeo è tutto qui. La sua inconsistenza, l’incapacità di seguire una propria linea sempre nella speranza che il potente alleato venga in soccorso. Il merito di Trump è di mettere gli europei di fronte alle loro responsabilità. Si vale per quel che si conta. Divisi e non autosufficienti in campo energetico si diventa dipendenti e nella brutalità del potere di fatto sudditi.

Nessun’altra forza militare al mondo può fare quello che i bombardieri americani hanno dimostrato sul campo. Si congratula Trump. Adesso è tempo di pace. Quella del vincitore. A Mosca lo sanno ed è quello che auspicano per la guerra in Ucraina.

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