Identità e governabilità, la destra di Meloni
attesa alla prova dei fatti

Ci sono tanti elementi di discontinuità nel governo che è appena nato. Ma nello stesso tempo sappiamo che, sui fondamentali, la compagine guidata da Giorgia Meloni si muoverà lungo binari consueti senza neanche provare a cambiare direzione.

Spieghiamoci meglio. La discontinuità sta innanzitutto nel fatto che Giorgia Meloni è la prima donna a rivestire la carica di capo del governo. È lei ad aver rotto «il tetto di cristallo» nel nostro Paese anche se prima di lei delle donne avevano detenuto la presidenza del Senato, della Camera, della Corte Costituzionale o la guida di ministeri tradizionalmente «maschili» come gli Interni e la Difesa. Manca il Quirinale e poi avremo completato il quadro dell’effettiva parità di genere nelle istituzioni, ma certo la conquista femminile del timone del governo riveste un significato di assoluta rilevanza. Sarà motivo di riflessione amara per i progressisti italiani il fatto che questo primato venga raggiunto non da una loro esponente ma da una donna di destra, appartenente cioè a quella parte politica cui la sinistra ha sempre rimproverato un maschilismo quasi genetico, se non un vero e proprio «machismo».

Seconda discontinuità: questo è un governo di destra. Destra-centro potremmo dire: le stesse modalità con cui si è arrivati alla composizione della lista dei ministri ci dimostrano come siano lontani i tempi in cui, col Cavaliere a cavallo, la parte più moderata della coalizione era la padrona del campo. È stata Giorgia Meloni, leader del partito di destra che ha vinto le elezioni, a decidere e a scegliere. Anche questo è un passaggio storico: la destra italiana, rinata dalle ceneri di Salò sotto la fiamma del Movimento sociale italiano di Arturo Michelini e Giorgio Almirante, al termine di un cammino cominciato già prima di Fini e della sua Alleanza nazionale si ritrova oggi pienamente legittimata come «destra di governo», senza alcuna «conventio ad excludendum» resistenziale. Lo hanno deciso gli elettori evidentemente convinti che in questa destra di Giorgia Meloni non vi sia alcun pericolo di ritorno al Fascismo.

Questa destra di governo dispiegherà la propria identità in molti dei campi dell’azione politica: lo si è capito con i nuovi nomi che sono stati simbolicamente apposti a diversi ministeri («Istruzione e merito», «Sovranità alimentare», «Sicurezza - e non più transizione - energetica», «Natalità» ecc.). Lì, se naturalmente dalle intenzioni sapranno passare ai fatti, i ministri potranno operare dei cambiamenti significativi rompendo un certo mainstream progressista finora egemone. E sulla stessa linea dovrebbero vedersi delle novità importanti nell’amministrazione della Giustizia ora affidata ad un giudice «eretico» come Carlo Nordio.

Tutto questo è vero. Ma è anche vero che esiste un quadrilatero ministeriale che costituisce una sorta di cintura di sicurezza intorno al governo: Esteri, Interni, Difesa, Economia. Quattro ministeri che sono stati affidati tutti a personalità che si muoveranno in linea con la nostra collocazione geopolitica europeista ed atlantista, con le nostre alleanze militari, con i nostri impegni finanziari presi con gli investitori esteri. Non cambieremo la nostra posizione sull’Ucraina e sulla Russia, continueremo ad essere alleati leali degli Usa e membri attivi della Nato, non andremo a Bruxelles a rovesciare le scrivanie, non ci isoleremo dietro agli Orban (che pure si precipita a fare gli auguri «a Giorgia») ma proveremo a rimanere laddove ci ha lasciato Draghi, cercheremo di mantenere gli impegni del Pnrr secondo il ruolino di marcia stabilito. Anche se il governo proverà a declinare la continuità con le proprie parole (se non altro per non perdere il contatto con l’elettorato più identitario), la sostanza rimarrà immutata. Di questo la garante sarà Giorgia Meloni, senza «padri nobili», e con il piglio dimostrato nel tenere a bada le richieste dei suoi alleati nella formazione del governo.

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