Il centro non è solo uno spazio politico

ITALIA. È come l’araba fenice. Muore e risorge. Dato più volte per definitivamente estinto, all’improvviso è ricomparso. Parliamo del centro, dello spazio politico del centro. Per molti si tratta semplicemente di un’illusione ottica o tutt’al più di un interstizio insignificante tra destra e sinistra.

Eppure sono in molti a volerselo intestare e altrettanti a cercare di accaparrarselo. Destra e sinistra hanno un bel dire nel considerarlo un fuoco fatuo. Però lo corteggiano. Lo evocano anche nel loro nome. Rifiutano di chiamarsi destra e sinistra tout court. Il «centro» lo incorporano addirittura nella loro denominazione. Si fanno chiamare centrodestra e centrosinistra. Ci sarà pure una ragione di tutto questo interesse. O meglio, le ragioni sono due.

C’è una ragione politica. Il centro - grande, piccolo o minuscolo che sia - gode di una posizione strategica: può risultare determinante per la formazione di una maggioranza. Negli anni Ottanta del secolo scorso, Giovanni Spadolini con il 4% del Partito repubblicano, Bettino Craxi con poco più del 10% del Psi sono riusciti a conquistare addirittura la presidenza del Consiglio. Il segretario del Partito socialista si guadagnò per questo spregiudicato uso del suo potere di ricatto l’epiteto di Ghino di Tacco, il bandito che a Radicofani, tappa obbligata per Roma, taglieggiava i viaggiatori. Se poi il centro riesce ad esibire un consistente pacchetto di voti diventa letteralmente padrone del banco. Dà lui le carte ai giocatori. La Democrazia cristiana con il suo 35% ha dominato la scena politica per mezzo secolo.

Il centro non è solo uno spazio politico. È anche uno spazio sociale. È quel segmento di opinione pubblica che disdegna gli estremismi. Al tempo in cui la società era dominata dal conflitto di classe tra borghesia e proletariato, chi non era né l’una né l’altro veniva chiamato ceto medio. E si comportava di conseguenza. Non disponendo di un partito, che non ha mai avuto, cercava di condizionare la forza politica che gli era più vicina, o meno lontana. Ha sostenuto in tempi diversi, più a lungo soprattutto la Dc, ma anche i liberali, i socialdemocratici e da ultimo il Psi di Craxi.

Ai nostri tempi, i tempi della «società liquida» nella quale le appartenenze sociali sono evanescenti, il ceto medio, più che da un punto di vista economico- sociale, lo si può individuare per i suoi orientamenti valoriali: è liberal democratico, filo-occidentale, laico. Non ama le posizioni estreme, quelle che al giorno d’oggi vengono definite sbrigativamente populiste.

Non c’è dubbio quindi che esista un segmento elettorale, valutato dai sondaggisti intorno al 20% che manca tuttora di una diretta rappresentanza. È questa la ragione per cui destra e sinistra cercano di dotarsi di partner che possano fare da richiamo a questo elettorato. Così come è ricorrente il tentativo di qualche imprenditore politico che cerchi di accaparrarsi questo, potenzialmente ricco, patrimonio elettorale. Dopo il suo soffocamento dal prevalere, a partire dagli anni Novanta del ‘900, dei due poli di destra e di sinistra, è stato comunque tutto un susseguirsi di iniziative tese a fornire una rappresentanza politica al ceto medio - o opinione moderata che dir si voglia - con nessun successo. L’ultimo tentativo da segnalare, subito franato, è stato quello del Terzo Polo, animato da Italia Viva di Renzi e Azione di Calenda. In vista delle elezioni europee si profila ora una concentrazione di molteplici sigle, capitanate da +Europa e Italia Viva, con l’intento di superare la fatidica soglia del 4%, sotto la quale non si ottengono eletti. Il centro batte un (nuovo) colpo. Fatuo o duraturo? È meno di un partito, ma è più di una resa.

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