Il «decreto Caivano»: distanze incolmabili

ATTUALITÀ. La sinistra, benché consapevole di quanto sia elettoralmente scivoloso il terreno della sicurezza nelle città, si è unita in coro contro il cosiddetto «decreto Caivano» varato dal governo, quello che stabilisce norme più severe per combattere la criminalità minorile, le baby gang, lo spaccio, gli episodi di violenza e contemporaneamente l’abbandono scolastico, il degrado sociale delle periferie come, appunto, Caivano.

Norme che rendono più facile l’arresto di giovani violenti o spacciatori e agevolano il lavoro degli organi di polizia che finora, come denunciava la Procuratrice di Palermo, si devono fermare quando un reato è commesso da un quattordicenne.

Contrariamente al parroco di Caivano don Patriciello (che ha definito il decreto «un passo avanti: a 17 anni si può essere criminali scafati»), tutte le opposizioni, la Cgil, parecchi giornali e intellettuali, giornalisti, sociologi, hanno duramente criticato la «repressione per decreto», la «svolta da stato di polizia» o, per dirla con Matteo Renzi, «l’operazione acchiappa-like» di Giorgia Meloni. In particolare sia il Pd che il M5S hanno ripetuto che la maggiore repressione o l’aumento delle pene non solo «non servono» ma soprattutto «non bastano» perché invece occorrerebbe migliorare la prevenzione, l’educazione, la diffusione delle strutture sociali e dei servizi nelle periferie più degradate. Secondo la Cgil il principio-base è «educare e non punire», parecchio lontano da quello che pensa la destra, e cioè «educare e punire». Del resto lo ha scritto Giorgia Meloni nel tweet per l’incontro con la mamma del giovane musicista napoletano Giovanbattista Cutolo, ucciso da un giovane delinquente: «Sua mamma Daniela - scrive la presidente del Consiglio - nonostante il dolore per la tragica perdita, sta lottando affinché il killer di suo figlio riceva la giusta condanna. Anche per lei abbiamo deciso una stretta per gli under 18 che delinquono, per limitarne il più possibile l’attitudine criminale».

Peraltro si era ipotizzato che nel decreto potesse entrare anche la norma - chiesta dalla Lega - che avrebbe abbassato da 14 a 12 la soglia di punibilità per un reato. Non è avvenuto perché questa modifica del codice poco convinceva gli alleati, anche se il capogruppo di FdI Foti ieri ricordava che in moltissimi Paesi quella soglia è più bassa che da noi e che ci sono casi in cui addirittura in cui scende a 10 anni. Se il provvedimento avesse compreso anche questo ulteriore giro di vite le polemiche probabilmente sarebbero state assai più aspre essendo ampio il fronte di chi, in merito, ha delle perplessità o una vera e propria contrarietà. Ma così non è stato, e il Guardasigilli Nordio in conferenza stampa lo ha sottolineato (anche, probabilmente, per ricordare il suo profilo di garantista).

Mancando dunque questo argomento, la segretaria del Pd Schlein ha cercato di aprire un’altra polemica con la presidente del Consiglio criticando le parole a suo giudizio «gravi e pericolose» che Meloni ha pronunciato a commento delle esternazioni tv del suo compagno in materia di femminicidi. E questo nonostante che in Parlamento sull’argomento ci sia stata convergenza tra maggioranza e opposizione quando si è trattato di approvare in via definitiva, l’altro giorno, le nuove norme comprese nel cosiddetto «Codice Rosso» del 2018. «Ora c’è uno strumento in più» ha commentato Giulia Bongiorno riferendosi ai poteri attribuiti ai Procuratori generali in materia di difesa delle donne vittime di violenza domestica o di genere. E per quanto convinte che «si dovrebbe fare di più» anche le esponenti delle opposizioni hanno votato a favore (con soli 61 voti di astensione alla Camera). Di «barbarie inaccettabile» ha parlato il Capo dello Stato ricevendo da tutti un pieno consenso.

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