Il futuro della Lega tra Veneto e Lombardia

ITALIA. La storia della Lega ha una costante: chiunque abbia provato a uscire dall’orbita del partito ha avuto vita brevissima, politicamente parlando.

Anzi, volendo vedere tra le costanti c’è anche la perenne tensione tra le due anime, quella lombarda e quella veneta. La prima da sempre egemone, la seconda emergente ma al tirar delle somme mai emersa davvero. Lo conferma la teoria dei segretari federali: Umberto Bossi, Roberto Maroni e Matteo Salvini, ovvero due varesotti e un milanese. Di veneti nemmeno l’ombra. Anzi, tra le prime fuoriuscite celebri ci sono quelle di Marilena Marin e soprattutto Franco Rocchetta nei primi anni ’90, fondatori della Liga Veneta: più recentemente Flavio Tosi, già sindaco di Verona, destinato a scalare posizioni nella gerarchia federale e autore di una discreta serie di epurazioni per poi rimanerne vittima. Ora è deputato in Forza Italia, ma è tra i pochi casi di leghisti capaci di trovare una nuova casa politica a certi livelli.

Ora le tensioni tra i vertici federali e l’ala veneta si ripropongono e per giunta in un contesto dove gli equilibri nel centrodestra sono nettamente cambiati a favore di Giorgia Meloni, impegnata a dare una forma compiuta - e rappresentativa - al partito sul territorio. Un problema sintetizzabile in un semplice concetto: ci sono i voti, ma servono gli uomini. L’escalation meloniana ha di fatto tagliato le gambe al progetto di partito nazionale che la Lega di Salvini ha perseguito per un certo tempo, non senza una certa qual perplessità nella base: quella che è salita a bordo dell’allora Carroccio inseguendo un sogno che oscillava tra secessione e il federalismo e che se da un lato ha smesso da tempo di credere all’ipotesi di uno «strappo», dall’altro non si sente ancora garantita da un’autonomia in itinere e con troppi nodi a da sciogliere. Economici e politici, nell’ordine a piacere.

La questione del terzo mandato per i governatori ha poi ulteriormente allargato il solco con i veneti, dove Luca Zaia continua ad avere un consenso impressionante, mentre poco più a est il collega friulano Massimiliano Fedriga lo sta seguendo a passo di carica. In tutto questo panorama aumentano i mal di pancia verso la gestione salviniana , sia sul fronte dei risultati che degli uomini al vertice: in sostanza si teme un nuovo «cerchio magico» come quello degli ultimi anni bossiani. Anche per questo il risultato elettorale delle regionali abruzzesi è atteso con molta impazienza, dopo lo scivolone in Sardegna. La collocazione geopolitica della regione è ritenuta particolarmente interessante per soppesare il potenziale consenso nazionale di un partito alle prese anche con la questione candidature, sia alle Europee che alle amministrative. Non è un mistero che la probabile discesa in campo del generale Roberto Vannacci abbia creato mal di pancia in serie nella Lega, tanto più con un consenso politico che pare assottigliarsi.

Anche in quest’ottica, nonostante le smentite di maniera, vanno letti i passi indietro di europarlamentari potenziali e uscenti: per capirci, se un posto va a Vannacci in una circoscrizione come quella che comprende (anche) la Lombardia i margini si riducono a un altro paio di posizioni, non di più e per giunta con nomi pesanti in campo. Analogamente sul piano locale la partita si annuncia complessa, con la Lega che vuole difendere a tutti i costi roccaforti come Seriate e FdI che un nome forte qui ce l’ha e pure il consenso. Sullo sfondo le scorie di un congresso provinciale deciso per un soffio (che quindi ha confermato le divisioni interne ) e un regionale ancora da convocare che potrebbe davvero segnare la resa dei conti. Dopo la «Notte delle scope» di 12 anni fa che (proprio a Bergamo) segnò la fine dell’epopea bossiana la Lega guarda nelle urne e cerca di capire il suo futuro che potrebbe non essere così semplice a fronte del dilagare meloniano. Ma è anche vero che troppe volte è stata data frettolosamente per finita e altrettante ha ricominciato. Magari questa volta un po’ più da est.

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