Il futuro dell’energia
tra ideali e realtà

Joe Biden intende raggiungere entro il 2035 una produzione di energia elettrica a zero emissioni di CO2. Quello che il presidente americano non dice è che l’obiettivo è ottenibile solo con le centrali nucleari. Negli Stati Uniti sono attivi a pieno ritmo 93 reattori atomici, disposti in 56 impianti. Mentre in Italia e Germania la produzione di energia nucleare è all’indice, nel mondo l’atomo trionfa. Sono 440 gli impianti attivi in tutto il pianeta. All’insegna del pragmatismo, due nuove centrali atomiche sono in costruzione negli Usa e altre tre sono in programma. Non vi sono alternative: il consumo di energia elettrica cresce ed è destinato a crescere sempre di più. Si pensi alle batterie ricaricabili delle automobili e al riscaldamento domestico sempre più vocato all’energia solare. Con un problema però. Di notte il sole non c’è e a volte c’è anche meno vento.

Come si sopperisce al calo di tensione? Ecco il dramma delle rinnovabili. E del resto non è facile far passare l’idea che il nucleare sia pulito dopo Chernobyl e Fukushima. Lo può fare solo la Francia con i suoi 56 reattori. È atomo-dipendente per poter essere energeticamente indipendente. Una scelta politica dalla quale non si può recedere in un breve lasso di tempo. Ma Italia e Germania hanno scelto un’altra strada e il ritorno al nucleare suona come sconfitta e non certo come segno del bel sol dell’avvenire.

Quale dunque l’alternativa? Il vento certo sarebbe una bella soluzione. Ma poi chi lo spiega agli abitanti del villaggio che si trova di colpo oscurata l’alba e cancellato il tramonto da una selva impenetrabile di pale eoliche. E se si costruiscono impianti in alto mare ecco che insorgono gli ambientalisti che già vedono minacciate le vie di migrazione degli uccelli e profetizzano l’estinzione delle specie.

Le emissioni di anidride carbonica sono solo una parte della questione ecologica e la sensibilità per le sorti dell’ambiente non è più esclusiva di un unico partito o movimento verde. A questo punto non resta che il gas. Italia e Germania si stanno muovendo in questa direzione. Il prezzo della bolletta elettrica ne è la prova. Ma il metano comunque non riduce l’emissione di CO2. Motivo sufficiente per far entrare dalla porta di servizio il fattore inquinante numero uno, quello espulso da ogni discorso politicamente corretto sull’energia.

Proprio il nero carbone la fa ancora da padrone. Certo di nascosto, di notte appunto. Nella verde Germania il vento fa la sua parte. Vi sono 30mila pale eoliche in attività e coprono il 55% del fabbisogno. Sono installate sul Mar del Nord e l’energia prodotta viene poi distribuita.

La rete è però obsoleta e allo stato attuale mancano 1.650 chilometri di nuovi tralicci. Anche l’ energia solare dà un forte contributo ma poi di notte cala e non può essere compensata da quella eolica per l’ intasamento delle linee di alta tensione. Così di colpo lo sporco carbone deve compensare quello che le produzioni nobili non riescono a coprire.

E poi c’è Putin che con il gasdotto North Stream 2 può tranquillamente ricattare chi come l’Unione Europea ha così fame di energia. Morale: la voglia di pulito deve passare attraverso lo sporco. Un problema che la Polonia ha rimosso. La Slesia delle miniere di lignite garantisce l’indipendenza energetica dai due storici nemici: la Russia ad Est e la Germania ad Ovest. Varsavia dipende dal carbone per il 60% dell’energia prodotta. Solo il restante 34 % è privo di emissioni nocive. La Norvegia invece ha proprio raggiunto l’obiettivo. Il 95% viene dalle centrali idroelettriche, il resto dal vento. Un Paese pulito e benestante. Ma la ricchezza non viene dalle pale eoliche. È il petrolio del Mare del Nord l’oro nero. Lo vende e fa inquinare gli altri.

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