Il governo tira dritto e i partiti si allineano

Un’improvvisa convocazione del Consiglio dei ministri ieri pomeriggio ha provocato ondate di allarme tra i partiti, curiosità nelle redazioni, ansia tra i parlamentari desiderosi di restare in carica almeno un altro anno, almeno fino alla fine normale della legislatura (e, per moltissimi di loro, anche della carriera politica).

L’ordine del giorno recava un semplice: «Comunicazioni del presidente del Consiglio», per cui ci si aspettava una reprimenda di Draghi nei confronti dei partiti, soprattutto dei più indisciplinati per le ultime polemiche su questo o quell’argomento. È stata, in effetti, una strigliata, ma senza minacce, senza alzare la voce. Con la sola forza dei fatti: riferendosi al decreto sulla concorrenza fermo da mesi in Parlamento, ha avvertito che o i partiti lo approvano in fretta o il governo metterà la fiducia. Punto. Il provvedimento che più di altri ci porta a casa i miliardi del Pnrr è fermo per i mille veti reciproci che i partiti lanciano per contentare questa o quella lobby. La somma di questi veti equivale allo svuotamento del provvedimento che dovrebbe servire a rendere il nostro sistema economico, sociale, commerciale più snello, più aperto alla concorrenza, meno preda dei ricatti delle tante corporazioni.

Ma una di queste, una delle più potenti, quella che rappresenta i concessionari delle aree balneari, si è da tempo frapposta all’approvazione delle norme che la riguardano e che finalmente metterebbero a gara le concessioni. Il governo Conte aveva rinviato la questione al 2033, cioè a babbo morto, ma poi una gragnuola di sentenze italiane ed europee hanno polverizzato la proroga infinita e Draghi ha deciso di tagliare il nodo introducendo una vera concorrenza e così scontentando i «proprietari di fatto» delle concessioni che da sempre pagano pochi euro di affitto allo Stato e ricavano milioni. Pur prevedendo dei ristori per gli investimenti fatti negli anni, comunque il Governo vuole approvare una norma che ci allineerebbe all’Europa dove non esiste una tale appropriazione a vita di un bene dello Stato (la spiaggia, che appartiene al Demanio). I partiti hanno fatto melina in Parlamento nel tentativo di far passare il tempo e svuotare la riforma che non piace soprattutto al centrodestra, tradizionale riferimento elettorale dell’Assobalneari. Adesso Draghi ha detto basta: avete avuto tutto il tempo per ragionare, bisogna chiudere, e se non ve ne convincete, sarà il voto di fiducia a provvedere.

Draghi dunque non ha fatto discorsi ultimativi sulla sorte del governo: ha preferito agire su un fatto, e i partiti si sono allineati. Cosa potrebbero fare di più? Per quanto si agitino, il loro margine è strettissimo, quasi inesistente. L’emergenza internazionale è troppo forte per consentire all’Italia una crisi di governo o addirittura elezioni anticipate. Per cui le bandiere elettoralistiche vengono agitate in vista del voto amministrativo di giugno ma il governo va comunque avanti per la sua strada. I due leader più inquieti, Conte e Salvini, hanno alle loro spalle partiti che non vogliono nessuna crisi e tantomeno le urne. Non solo: brontolano nei confronti dei loro leader. Conte è contestato dalle mille correnti interne e combattuto da Di Maio (soprattutto ora che ha perso malamente la presidenza della Commissione esteri) e Salvini deve convincere Giorgetti, Zaia, Fedriga e i grandi elettori del Nord di essere ancora un leader capace di guidarli. Draghi è sicuramente molto irritato verso una maggioranza così simile all’armata Brancaleone, ma alla fine sa che la linea la detta lui. Avete forse visto qualche cambiamento sulla fornitura di armi all’Ucraina nel discorso di ieri al Senato? Eppure proprio su questo Conte aveva lanciato ultimatum e penultimatum…

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