Il Pd illuso su Conte, ma la realtà è diversa
Ora è un concorrente

L’aveva incoronato il segretario Zingaretti, ne aveva cantato le lodi il consigliere fidato Bettini. Conte s’era ritrovato di colpo elevato al rango di «punto di riferimento fortissimo dei progressisti». Fuori dal politichese, era stato candidato a leader della sinistra e, come tale, indicato anche come futuro candidato premier dell’alleanza giallo-rossa. In questa incoronazione dell’ex avvocato del popolo a guida del campo progressista c’era certamente un chiaro calcolo tattico. Nell’immediato, il Pd puntava a smarcare l’«uomo nuovo» della politica dalla presa dei Cinquestelle, e con ciò beneficiare della grande popolarità da lui conquistata nella gestione della pandemia. C’era poi dell’altro, un non detto di ben più ampia portata. Facendo dell’avvocato di Volturara Appula il federatore del centro-sinistra, l’allora segretario dem Zingaretti si proponeva di integrare a pieno titolo, e definitivamente, il M5S al campo progressista, liberandolo dalle fumisterie della democrazia diretta per riconciliarlo alla democrazia dell’alternanza. A quel punto il sogno del Pd di insediarsi come guida del polo progressista poteva avverarsi.

Con un M5S spogliato del suo spirito ribellista e, per questo, in crisi d’identità e di consensi, sarebbe stato un gioco da ragazzi per il Pd conquistare una piena egemonia del campo progressista. Sarebbe stata, infatti, una partita già vinta in partenza, visto l’enorme vantaggio di cui gode la Ditta per lo storico patrimonio accumulato in termini di sapienza politica, di prestigio, di radicamento sociale, di classe dirigente.

Troppo bello, per essere vero. La presunzione di chi si sente «il migliore», di chi pensa di essere votato dalla storia a esercitare l’egemonia, in parole povere a mettere in riga i suoi compagni di strada ha giocato al vertice dem un brutto tiro. Gli ha fatto confondere il desiderio per la realtà, ma la realtà - è notorio - è altra cosa rispetto ai desideri.

Il primo brutto colpo ricevuto si ascrive alla caduta del governo Conte bis, difeso dal Pd fino all’ultimo - meglio dire, fino allo spasimo - come fosse la nuova frontiera della sinistra. Venuto meno il collante del potere, la maggioranza giallorossa ha cominciato a slabbrarsi. Il secondo brutto colpo gliel’ha assestato lo stesso candidato in pectore del largo fronte progressista, rimasto improvvisamente orfano proprio del suo sostenitore. Conte, tra rinvii, temporeggiamenti e ripensamenti, alla fine ha scelto l’uovo oggi invece della gallina domani. S’è preso il suo M5S, pur smagrito, sfilacciato, stordito dalle virate politiche e dalle beghe interne, ma pur sempre prontissimo ad accoglierlo a braccia aperte, come fosse il novello Noè che lo traghetta in salvo dal temuto naufragio delle prossime urne.

Terzo brutto colpo: il Pd scopre oggi che ha lavorato non per sé, ma «per il re di Prussia», cioè in favore di altri. Due anni di fila a far campagna elettorale per il promesso leader hanno dato i loro frutti, ma purtroppo a suo danno. Oggi, il leader dei Grillini è più popolare di Letta nella stessa base del partito dem. Bel guaio! Conte doveva essere il federatore della sinistra; doveva fare il lavoro che il Pd non è in grado di fare in proprio. È diventato invece un pericoloso concorrente, che non fa mistero peraltro di nutrire l’ambizione di egemonizzare il centro-sinistra. Già il Pci e poi il Pds-Ds-Pd hanno sempre sofferto, per usare le parole di un uomo di potere come Massimo D’Alema, del complesso del «figlio di un Dio minore» condannato, se vuol governare, ad affidarsi a un Papa straniero. Solo che adesso il Papa straniero è il capo di una chiesa straniera, sua diretta concorrente.

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