Il pestaggio squadrista, le parole da ricordare

Italia. Per commentare i fatti di Firenze, ovvero il pestaggio squadrista di un ragazzo da parte di alcuni giovani facinorosi di destra possiamo usare due sole coordinate: il no alla violenza e la Costituzione.

E dato che la Costituzione si basa sulla Repubblica italiana, e non su quella di Salò, tutto il resto viene di conseguenza. Che altro può fare un preside di fronte al rischio che la violenza politica si manifesti dentro e fuori gli istituti scolastici, compreso il suo naturalmente, se non ribadire i valori fondanti della nostra Carta, nata sulle macerie della Seconda guerra mondiale e soprattutto della Resistenza, trovando un’intesa tra forze politiche diverse, anche fieramente contrapposte, ma con un denominatore comune, vale a dire l’antifascismo? Un preside che si proclamasse fascista o rigettasse questa cultura civile comune verrebbe a scontrarsi con l’articolo 54 della Costituzione che parla di «disciplina e onore» nell’adempiere alle funzioni pubbliche che gli sono state affidate.

Dunque se il capo di istituto del «Michelangiolo» ha preferito tacere per non esacerbare gli animi, un’altra preside, quella del liceo Leonardo Da Vinci di Firenze, anziché farsi i fatti suoi, ha preso carta e penna e scritto agli studenti una lettera diventata virale sui social. Ha ricordato ai suoi studenti e a tutti coloro che l’hanno letta (perché un preside ha tutto il diritto di scrivere una lettera aperta nel rispetto e nei limiti delle sue funzioni) che le dittature nascono a poco a poco, non arrivano come un temporale estivo, si ingrossano e arrivano ad abbattere i ponti quando chi sta sulla riva guarda l’acqua che passa senza rafforzare gli argini. Non per niente ha citato il pericolo dell’indifferenza. Un chiaro riferimento all’«Odio gli indifferenti» di Antonio Gramsci, fatto marcire in carcere da Mussolini certo (ciò che forse deve aver infastidito il ministro dell’Istruzione, evidentemente, che ha biasimato la lettera della preside), ma soprattutto la stessa parola che sta scritta come monito sul binario 21 della stazione di Milano da cui partirono i treni per Auschwitz.

E, a questo proposito, visto che siamo nella città del Giglio, l’indifferenza è il contrario dell’«I care» che era il motto del fiorentino don Lorenzo Milani, l’autore di «Lettera a una professoressa», che di fronte all’episodio del «Michelangiolo» certamente non sarebbe rimasto indifferente. La preside ha ricordato che le dittature nascono dai marciapiedi con azioni di squadrismo. La reprimenda del ministro Valditara contro la lettera della preside (per fortuna senza conseguenze amministrative, ci mancava solo questo) ha suscitato addirittura la reazione del capo dello Stato. Che proprio in un incontro al Quirinale che vedeva la partecipazione dello stesso titolare di Viale Trastevere ha affermato che il tessuto connettivo del nostro Paese è la solidarietà e soprattutto ha ribadito il no a qualsiasi sopruso fisico e morale: «Si vive insieme agli altri in solidarietà, tutto questo è un antidoto contro la violenza perché indica un modello di vita che si contrappone a quello di sopraffazioni. La vediamo purtroppo sovente: violenza nelle famiglie, nelle abitazioni, contro le donne, in tante circostanze per strada, addirittura nei giorni scorsi davanti a una scuola contro dei ragazzi». «Vi sono episodi di violenza», ha aggiunto Mattarella, «contro i quali la vera diga è ovviamente fatta dagli interventi della pubblica autorità. Ma è fatta in maniera prevalentemente dai comportamenti positivi del nostro tempo. Il nostro è un Paese che ha sempre coltivato la civiltà della condizione umana». Da queste parole tutta la scuola, compreso il ministro Valditara, dovrebbe trarne lezione. Sempre.

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