Il voto in Russia
non è un trionfo

Niente di nuovo dal fronte orientale. Le legislative russe non hanno fatto registrare sorprese, se non la conferma di un corso preoccupante. Erano tre i nodi da sciogliere. Il primo: Russia Unita, il partito del Cremlino, sarebbe riuscita a conservare la maggioranza assoluta alla Duma federale? Il secondo: quale distanza esiste tra un presidente popolare fra la gente, come almeno affermano i sondaggi, e una formazione in crisi da tempo, soprattutto dopo la disastrosa riforma delle pensioni del 2018? Il terzo: come organizzare tecnicamente le cruciali presidenziali del 2024, onde evitare imprevisti o interferenze esterne? La tornata elettorale ha fornito indicazioni chiare. Seppur in assenza di veri candidati, oppositori del Cremlino, Russia Unita (Ru) ha perso quasi il 5% dei voti al proporzionale. Il che significa che il brand non tira più, come hanno dimostrato anche le sconfitte a livello locale. Solo ingegnose alchimie politiche e il minuzioso controllo dell’informazione hanno mantenuto Ru in piedi.

Ma onde evitare scivolate rovinose erano già comparse sulla scena politica compagini (invero filo-potere) in grado di raccogliere la richiesta di cambiamento. Ru ha conservato la maggioranza assoluta alla Duma solo grazie al voto dell’uninominale. Qui i suoi candidati erano quelli da battere, poiché sostenuti con le cosiddette «risorse amministrative», ossia con il voto degli statali e dei militari, recatisi alle urne in massa venerdì mattina. La stampa regionale, come ha evidenziato Radio Eco di Mosca, ha pubblicato denunce di costrizioni.

La distanza di popolarità tra Putin e Russia Unita appare oggi ancora maggiore di quanto sembrasse prima delle legislative. Il presidente è indicato stabilmente ben oltre il 50% delle preferenze anche nei periodi di crisi. Secondo le opposizioni, che gridano ora a brogli su larga scala, Ru non va oltre il 27-29% delle simpatie nella società. L’assenza di osservatori internazionali (per la prima volta dal ‘93), le difficoltà sorte nel lavoro dei rappresentanti di lista, l’immensità geografica di un gigante disteso su 11 fusi orari non permettono altro che registrare le dichiarazioni delle parti. Ma lascia stupiti che la presidente della Commissione elettorale abbia avuto da ridire persino sugli osservatori del Pc, la forza più radicata sul territorio, per l’eccessiva intraprendenza mostrata.

Interessante è stato l’esito del voto a distanza. In tutte le regioni ha stravinto Ru. I dati di Mosca - 2 milioni di capitolini hanno utilizzato l’opzione online - non sono stati resi pubblici per ore. «Il potere ha imparato ad usare Internet», è il commento disgustato della «Novaya Gazeta», foglio della dissidenza. «Conseguenze tragiche» per questo risultato, prevedono le opposizioni. Nel precedente quinquennio la Costituzione è stata riformata e sono stati azzerati i mandati presidenziali di Putin, che potrà ricandidarsi nel 2024. Continuerà così la parabola dell’uomo solo al comando, con tutto il sistema pronto ad approvare le sue scelte. Si spera solo, finite le elezioni, che termini l’imperante clima da sindrome da accerchiamento, attizzato dalla propaganda nazional-patriottica. Negli ultimi tempi il dissenso ha avuto problemi di ogni tipo tra organizzazioni dichiarate «indesiderate» e giornalisti «agenti stranieri». Davvero non una bella aria tira ad Est!

Nel 2024 se le opposizioni composite riusciranno a registrare un proprio candidato, meglio unico, potranno dire la loro puntando sulle troppe questioni sociali aperte e sul basso tenore di vita dei russi. Altrimenti questo corso proseguirà.

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