Infiltrazioni mafiose, un caso politico

ITALIA. Il caso di Bari sta provocando un furioso scontro politico tra maggioranza e opposizione. Nel capoluogo pugliese, da due decenni fortezza inespugnabile del Pd, a giugno si dovrebbe votare per il nuovo sindaco, e ora - quasi in campagna elettorale - il ministero dell’Interno ha deciso di inviare in Comune la «commissione d’accesso» che dovrà valutare se sia necessario sciogliere il Consiglio «per infiltrazioni mafiose».

L’iniziativa del Viminale deve essere messa in relazione ad una inchiesta della Dda pugliese che ha portato all’arresto di 130 persone tra cui una consigliera comunale (eletta con Forza Italia ma poi passata al centrosinistra) e a scoperchiare gli affari sporchi della criminalità pugliese nell’azienda municipalizzata dei trasporti dove pare che gli accoliti del clan dei Parisi facessero il bello e cattivo tempo. Fatti di commistione tra criminalità organizzata e politica, tra professionisti e malavitosi, che aveva spinto i parlamentari locali del centrodestra (tra cui due vice ministri) a chiedere al ministro dell’Interno di intervenire a Bari. E Matteo Piantedosi lo ha fatto: ha deciso di inviare una commissione al Comune per verificare, carte alla mano, se l’infiltrazione mafiosa ci sia davvero. E questo nonostante la Procura della Repubblica abbia ripetutamente dato atto al Comune di essersi schierato contro la mafia barese.

Ma proprio qui sta il cuore politico della faccenda: il campione dell’antimafia in città è lo stesso sindaco, Antonio Decaro, che è anche presidente dell’Anci e di cui si parla da tempo come un possibile leader del Pd nazionale. Personalità spiccata e volenterosa, modi spicci, a Decaro è stata sempre riconosciuta una grande capacità amministrativa (Bari ha cambiato faccia negli ultimi anni, per constatarlo basta andare nel centro storico, un tempo ghetto mafioso e oggi luogo della movida e meta turistica) e anche parecchio coraggio: tant’è che a causa delle minacce ricevute dai clan - a Bari pare che se ne contino ben quattordici - dieci anni fa gli è stata assegnata la scorta. «Ma io non posso vivere con la scorta perché sono un nemico della mafia e nello stesso tempo avere la commissione d’accesso in Comune!» ha gridato Decaro nel corso di una agitata conferenza stampa in cui i toni accesi («Piantedosi dichiara guerra a Bari!») si sono accavallati con lacrime e appelli alla resistenza contro chi «si vuole riprendere la città come in Gomorra». E il riferimento è al centrodestra che, come detto, da tempo ha ingaggiato una polemica proprio sulla gestione del potere in una delle più vivaci capitali del Sud.

Il Pd si è schierato unito a difesa del suo amministratore e possibile uomo forte (se non dovesse tentare la strada di Roma, a Decaro facilmente spetterebbe il posto di Emiliano in Regione) e tutti i sindaci Democratici hanno puntato il dito contro Piantedosi. Il quale si è difeso ricordando che il governo Meloni finora ha sciolto ben quattordici Comuni per mafia, «e quasi tutti governati dal centrodestra», negando che sia la prima volta che una città grande come Bari venga sottoposta ad una simile procedura («non è vero, è successo anche a Roma, a Reggio Calabria e altrove») e soprattutto trincerandosi dietro il carattere strettamente amministrativo, e non politico, della sua decisione: «Collaboreremo con gli amministratori». Cosa che invece è il motivo principale della polemica del Pd: «Siccome il centrodestra non riesce a vincere le elezioni a Bari, prova a lanciare la palla in tribuna».

Vedremo come finirà: gran parte delle prossime mosse saranno in mani al prefetto e molto conterà il parere della Procura. Poi se davvero si arrivasse a sciogliere anzitempo il Consiglio comunale, verrebbe nominato un commissario e le elezioni si allontanerebbero di 18 mesi, forse due anni.

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