Infrastrutture
al Sud, l’Ue vigila

Il ministro Enrico Giovannini annuncia che i fondi per il ministero delle Infrastrutture sono circa 50 miliardi, dei quali la metà circa destinati al Mezzogiorno. Punto focale è il potenziamento del trasporto su ferro, un’espressione generica alla quale corrisponde però un progetto preciso, l’alta velocità ferroviaria che scende al Sud. Attualmente si arriva a Reggio Calabria su un’autostrada che una tormentata storia di appalti truccati e di corruzione ha trasformato in un monito. Un marchio impresso nella coscienza nazionale che accende il dibattito pubblico ogniqualvolta si tocca il tema infrastrutture.

La ferrovia che ha rivoluzionato i trasporti nel medio tratto parte da Torino ma si ferma a Salerno. Nella storia d’Italia c’è sempre una fermata intermedia prima di arrivare in fondo allo stivale. Il torinese Carlo Levi condannato al confino dal regime fascista l’ha scolpita nel libro «Cristo si è fermato a Eboli». Nel descrivere la miseria contadina del Mezzogiorno si fissa un percorso che inizia appunto ad Eboli «dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare e si addentrano nelle desolate terre della Lucania».

Nel frattempo la storia e il progresso che Carlo Levi vedeva esclusi in questa parte d’Italia si sono affacciati nel dopoguerra ma l’hanno fatto più nel segno del consumo che dell’attività imprenditoriale. Lo sviluppo che si è creato vede nel denaro non il mezzo per creare attività produttive ma volto per lo più a realizzare i progetti di vita del passato parassitario. Per intenderci, quello lasciato in eredità dai padroni di una volta, quei latifondisti rimasti nella memoria storica che sfruttavano ogni occasione per creare opportunità di vantaggio a loro favore.

Una volta erano i braccianti agricoli da sfruttare, adesso sono i fondi europei, gli appalti, la droga. Un fiume di denaro che porta alla corruzione e la malversazione del bene pubblico. L’autostrada Salerno-Reggio Calabria ne è un simbolo. È quella che nel 2016 l’ allora ministro dei Trasporti Graziano Delrio descrisse con queste parole: «Per troppo tempo hanno comandato le ‘ndrine e la mafia e lo Stato non poteva e non doveva essere presente». Un incubo durato 40 anni, quando ogni occasione era buona per interrompere i lavori e chiedere sempre nuovi finanziamenti a Roma. Questa volta i fondi li mette l’Unione europea con il suo Recovery Plan Next Generation Eu che il governo italiano implementa con il piano nazionale di ripresa e resilienza. Sbagliare non è concesso perché se i lavori non vanno a buon fine, scatta il blocco dei finanziamenti. Il vero problema italiano non è quindi nel reperire i fondi ma nel come spenderli. Occorre partire dal presupposto che l’Italia è l’unico Paese dell’Unione europea ad avere una parte del territorio nazionale di fatto sottratta alla sovranità dello Stato. E questo accade anche attraverso le istituzioni stesse. Nel 2019 le amministrazioni comunali e le aziende sanitarie commissariate per gravi condizionamenti dei clan sono state 21. E di queste sono otto i Comuni al secondo e al terzo provvedimento. Ne consegue che a fronte di elezioni formalmente libere, il territorio appare condizionato dalle organizzazioni criminali che orientano il voto dei cittadini. Del resto il malaffare del Sud è stato portato anche al Nord. Il processo Aemilia alla n’drangheta nel territorio di Reggio Emilia ha portato a 700 anni di carcere per 118 imputati e rivela una rete di contatti che coinvolgono operatori finanziari, giornalisti e anche figure di intermediazione politica. L’ industria italiana è riuscita sinora a tener testa alla crisi economica in ragione delle sue 200 mila imprese che esportano e rendono possibile un attivo nella bilancia commerciale. Dove invece in questi decenni ha fallito è nell’esportare il suo modello al Sud Italia. Qui si è sviluppata un’economia condizionata dalle infiltrazioni mafiose. La vera sfida italiana è tutta qui.

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