Interessi e umanesimo, due mondi opposti al G7

MONDO. Il G7 di Kananaskis, a ovest della località invernale di Calgary in Canada, diventa occasione per un prevertice senza Donald Trump.

Il presidente americano è divisivo, segue una sua agenda; Francia, Germania, Italia, Ursula von der Leyen e Antonio Costa si coordinano. Il Giappone è Usa dipendente, un destino che lo segna dalla bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Ci sono due guerre che sconvolgono l’ordine costituito del mondo occidentale e il cancelliere Merz, che di questo consesso è la new entry, parla di una tappa del percorso. Come dire, i tavoli che contano sono altri. E questo lo si capisce meglio quando Donald Trump annuncia che Vladimir Putin sarebbe l’uomo giusto per fare da mediatore e portare la pace tra Iran e Israele.

La situazione Usa

Per il presidente americano colui che ha negato il dialogo per far parlare solo le armi dopo tre anni di guerra in Ucraina può assurgere a colomba della pace. È diventato lampante quello che Jamie Dimon, ceo di JP Morgan-Chase, ha detto al Reagan National Economic Forum: «Non sono preoccupato sulla Cina, ciò che mi mette in ansia siamo noi». Col che si intende gli americani. Perché la vera partita è la politica interna, tutto si gioca su ciò che può essere utile per la presidenza americana. Gli Stati Uniti si presentano non più come garanti dell’ordine mondiale. E del G7 canadese è questa la vera notizia. Che nessun comunicato stampa renderà pubblica.

Il ruolo del Canada

Del resto stiamo parlando di un vertice dove il Canada, padrone di casa, è appetito dal suo prorompente vicino come naturale espansione a nord del territorio nazionale statunitense. Un Nord America a stelle e strisce ci dice chiaramente che l’ambizione di Washington è di trincerarsi nell’intero continente americano, dove il Sud America diventa la proiezione meridionale dell’impero. E questo spiega come, nella strategia trumpiana, Panama diventi centrale per il controllo del passaggio fra Oceano Pacifico e Atlantico e la Groenlandia per le ambite terre rare. La Danimarca, alleata nella Nato, dovrà fare un passo indietro. Occidente non vale più come tutela della democrazia, dei valori etici come sono stati voluti proprio dagli Stati Uniti nel 1945 negli statuti delle organizzazioni internazionali. L’Onu, che ne è la massima espressione, ha sede non a caso a New York. Gli Usa hanno raggiunto l’autosufficienza energetica e i conflitti della regione mediorientale diventano periferici.

Per il resto vale la legge della giungla, chi è forte vince e chi è più debole si rassegni. Una visione del mondo che l’Europa nel corso di millenni ha capito essere esiziale

A Benjamin Netanyahu il compito di riportare ordine. Per il resto vale la legge della giungla, chi è forte vince e chi è più debole si rassegni. Una visione del mondo che l’Europa nel corso di millenni ha capito essere esiziale. È nel vecchio continente dove ancora persiste il desiderio di pace. Un bisogno che è emerso prepotente in occasione dei funerali di Papa Francesco e dell’incoronazione di Papa Leone XIV. L’immagine di Trump a colloquio con Zelensky nella Basilica di San Pietro ne è testimone.

Ci vuole pace interiore per poter parlare di una pace delle armi. E l’uomo moderno, in un momento di passaggio dall’era della macchina a quella del computer e dell’Intelligenza artificiale, dove l’identità della natura umana è messa in discussione, cerca certezze. Fa guerra perché disperato ma è sempre alla ricerca di un luogo di pace. Roma non è solo una città, è la quintessenza di ciò che definiamo Occidente. Una dimensione aperta al mondo. Ed è proprio ciò che manca in questo frangente storico. Essere al G7 come rappresentante del governo italiano per Giorgia Meloni implica un impegno non solo politico. La necessità di dare volto all’Europa intesa come dimensione dei valori della persona umana. Per ricordare al sodale Trump quello che un uomo dell’industria del suo Paese, Henry Ford, ebbe a dire: «A business that makes nothing but money is a poor business», un’attività che non fa altro che soldi è una povera attività.

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