La cultura finanziaria, un ruolo da valorizzare

Ottobre è stato il mese dell’educazione finanziaria, che culminerà oggi con la tradizionale Giornata mondiale del risparmio. Si sono tenute moltissime iniziative di sensibilizzazione sull’importanza di possedere almeno le nozioni di base degli strumenti di finanziamento e di investimento.

Un’adeguata conoscenza dei meccanismi finanziari è importante per ogni persona perché non c’è piena libertà individuale senza la capacità di gestire le risorse economiche e l’accesso alle forme di indebitamento. Non sono le conoscenze volte a diventare speculatori finanziari; servono per pianificare il futuro previdenziale in tempi di fragilità del sistema pensionistico; per affrontare l’inflazione prepotentemente ricomparsa; per ottenere il mutuo per acquistare una casa o per sostenere un’attività imprenditoriale, anche piccola.

Purtroppo il livello di preparazione in ambito finanziario degli italiani è bassissimo. Lo dicono tutte le statistiche specifiche, lo confermano i dati dei test «Pisa» sugli studenti delle scuole superiori. Il nostro ranking è in fondo alla lista dei Paesi osservati, molto lontano dai migliori (i Paesi scandinavi) e davanti solo alla Bolivia. Il grado di conoscenza finanziaria è altamente correlato al livello formativo generale, specialmente a quello nelle materie matematiche tecniche e scientifiche. E quindi non stupisce rilevare che i dati peggiori sono, ancora una volta, quelli delle regioni meridionali e insulari. Basteranno le tante iniziative che si sono tenute per promuovere e diffondere la cultura finanziaria a superare il gap che ci colpisce? Basterà introdurre qualche ora su questi temi nelle scuole? Tutto ciò aiuta ma, secondo me, non potrà soddisfare il bisogno. È essenziale un passaggio fondamentale promuovendo il concetto di cultura economico finanziaria come cultura tout court e non come conoscenza strumentale «a fare soldi».

Oggi la cultura umanistica appare dominante rispetto alle altre aree del sapere e guarda con malcelato senso di superiorità, quasi con sufficienza, alla cultura economica e soprattutto a quella finanziaria. Ma la cultura non è solo arti figurative, letteratura, cinema e teatro. La storia dell’arte, per esempio, è fortemente debitrice verso le tracce della cronaca economica degli artisti. Dai taccuini dove Lorenzo Lotto annotava entrate e uscite sappiamo il perché della scelta dei colori dei manti dei personaggi delle sue opere. I pigmenti avevano costi anche molto diversi. Siccome i materiali avevano costi molto diversi, le scelte cromatiche dipendevano da quanto poteva pagare la committenza prima ancora che dal genio dell’artista? Vi piaccia o no, il quadro nasceva prima dai denari che dal genio dell’artista, a partire dalla dimensione e dal numero dei personaggi. O almeno, il genio dell’artista doveva fare i conti con il denaro.

Ecco perché bisogna restituire all’economia il ruolo le compete nel panorama culturale. Prima ancora che i corsi di formazione in materia finanziaria, occorre che, per esempio, l’insegnamento della storia non sia soltanto l’elenco delle battaglie la successione delle dinastie. Quali furono le motivazioni economiche delle guerre che si sono combattute? Chi le finanziò e con quale moneta? Poi c’è la dimensione sociale della storia dell’economia: quali erano le condizioni di vita delle persone nel Medioevo? Erano davvero così misere come siamo portati a pensare? Anche la geografia va studiata e insegnata con un’attenzione alle vicende economiche. Le esplorazioni e le scoperte non nascevano solo dallo spirito d’avventura, per esempio, del nostro Beltrami ma andavano alla ricerca di nuove ricchezze. E quanti milioni di persone hanno fatto spostare le colonie insediate sulle scoperte dei navigatori, incrociando razze ed etnie. Per racchiudere tutto in uno slogan: non si può capire il Rinascimento senza avere compreso i mercanti banchieri fiorentini del XIV e del XV secolo. Da questa sensibilizzazione scaturirà anche la dovuta maggiore attenzione alle tecnicalità finanziarie.

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