L'Editoriale
Lunedì 08 Dicembre 2025
La destra più compatta e i crucci del campo largo. Sistema politico in gioco
ITALIA. La carta vincente in mano agli schieramenti è sempre stata la capacità di ricompattare il proprio polo.
Fino a quando reggerà l’unità del centrodestra? Non è una questione da poco: ne va della sua possibilità di essere competitiva alle prossime elezioni. Non dimentichiamo che da quando la lotta politica si svolge in modo binario tra due poli, la vittoria dell’uno o dell’altro è sempre dipesa dalla loro capacità di far rinserrare le fila al proprio schieramento. Si pensi alla nascita nel 1994 del centrodestra. Berlusconi compì allora la magia di tenere assieme Alleanza nazionale e Lega, due partiti che non volevano nemmeno sentir parlare di associarsi. Ricorse al marchingegno di articolare il centrodestra in due diversi poli, tra loro collegati: il Polo del buon governo e il Polo della libertà, con Forza Italia a fare da ponte tra i due soci ribelli. Vinse, ma per perdere due anni dopo, nel 1996, a seguito della defezione del Carroccio. Analogamente, la sinistra ha vinto due volte, nel 1996 e nel 2008, sempre grazie al ricompattamento della composita schiera di tutte le forze antiberlusconiane (Pds, Margherita, Socialisti, federazione dei Verdi, più altre forze minori, anche centriste) per perdere quando si è presentata divisa. La carta vincente in mano agli schieramenti è sempre stata, insomma, la capacità di ricompattare il proprio polo e insieme di saper mobilitare i propri elettori per scongiurare che una parte di essi disertasse le urne.
Unità e contraddizioni
In questo trentennio la destra è riuscita, però, a fare di più. Non ha solo allestito e salvaguardato uno schieramento compatto. Ha saputo anche ricomporre ad unità (pur in qualche modo) anche gli indirizzi programmatici e gli orientamenti politici divergenti dei suoi partner. C’è riuscita grazie soprattutto alla presenza di leadership indiscusse che hanno garantito la tenuta della coalizione anche al momento in cui è stata messa alla prova del governo. Dimentichiamo, per carità di patria, i costi politici di tale unità: primo fra tutti, il blocco spesso di ogni decisione sull’altare della difficoltà di trovare un punto di mediazione. È stato, comunque, questo il vantaggio di cui la destra ha goduto, e mostra di godere anche in questa legislatura. È comprensibilmente il cruccio della Schlein che, non a caso, scommette - «testardamente» - sull’unità del campo largo, costi quel che costi sulla coerenza e bontà del programma.
Fino ad oggi Meloni è riuscita a far votare compattamente la sua maggioranza, anche su temi sui quali scontava orientamenti diversi, talora opposti, sia sulla politica interna come su quella internazionale. Pensiamo al doppio registro di appoggio-contrasto all’Ue e del sostegno- disimpegno all’Ucraina, ai temi del riarmo europeo, della riduzione dell’età pensionabile, dei condoni fiscali, dell’estensione della flat tax a nuove fasce di contribuenti.
Verso le elezioni
Di colpo le cose per il centrodestra si sono ultimamente complicate con l’ingresso nella Lega del generale Vannacci, promosso sul campo vice-segretario. Le tensioni al suo interno sono aumentate. Abbiamo visto Meloni costretta a rinviare il decreto sugli aiuti a Kiev per non rischiare la rottura con Salvini. Se non fosse che il centrosinistra, con la sua parallela disunione, non può fare la voce grossa, per il centrodestra sarebbero guai. Prima o poi, forse, anche la rottura della maggioranza. Sarebbero allora non solo guai per la destra, ma problemi anche per il sistema politico. Ipotizziamo che alle prossime elezioni politiche si registri un pareggio tra i due poli: probabilità non da escludere con la presente legge elettorale. A meno di formare un ministero tecnico, on ci sarebbe alternativa ad un accordo di governo tra le componenti dei due schieramenti disposte a collaborare. Addio al bipolarismo.
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