La guerra in Ucraina: i neutralisti e il terrore

Le ricadute economiche del conflitto russo-ucraino sono pesanti, con i rincari di gas e petrolio che generano tensioni sull’inflazione. Si vanno a innestare su una situazione che già prima del 24 febbraio, giorno dell’invasione delle truppe di Mosca, era già segnata dall’irreperibilità di materie prime. Lo spettro che inquieta governi e cittadini è la somma dell’aumento dei prezzi alla recessione, un mix che sarebbe molto gravoso da sostenere. Le sanzioni stanno avendo effetti negativi sullo Stato aggressore ma con ricadute dannose anche sull’Europa.

Così, secondo un sondaggio di Ipsos, l’istituto diretto dal bergamasco Nando Pagnoncelli e pubblicato sul Corriere, se lo scorso 24 marzo gli italiani che si dichiaravano «molto favorevoli» o «abbastanza d’accordo» a sanzionare il Cremlino erano il 55%, oggi sono il 47%. Ma il dato più rilevante riguarda le simpatie per la causa ucraina, calate nello stesso arco di tempo dal 57 al 49%. All’inizio del conflitto è stato evidente come la brutale aggressione ordinata da Vladimir Putin costituisse una colossale ingiustizia («un atto sacrilego» per Papa Francesco), con il suo tragico portato di distruzioni, vittime civili e crimini di guerra perpetrati dagli invasori. Il dibattito che ne è seguito in parte ha stranamente analizzato con zelo le responsabilità degli aggrediti e della Nato e più o meno consapevolmente ha sposato argomenti della propaganda russa come la «denazificazione». Meno analizzate invece le responsabilità russe, il pensiero ideologico neoimperiale che ha mosso Putin nella sciagurata impresa militare. Eppure c’è un dato che dovrebbe indurre a pensare sulle nefandezze dell’invasione: il numero di sfollate e profughe già dopo il 24 febbraio, «il più alto e il più veloce dopo la Seconda guerra mondiale» come ha detto l’Alto commissariato Onu per i rifugiati.

Non ha giovato alla causa ucraina nemmeno la richiesta del presidente Volodymyr Zelensky all’Occidente di armi per opporsi al primo esercito al mondo per capacità logistica. Per un altro sondaggio il 51% degli italiani è contrario ad assecondare questa domanda (secondo Ipsos il dato era del 46%). Chi vede invece con favore le «ragioni» della Russia, tra il 17 marzo a oggi è passato dal 5 al 7%. Ma a crescere è soprattutto chi non si schiera con nessuna delle due parti, salito dal 38 al 44%.

In Italia la propaganda russa ha agito in questi anni con particolare radicalità. E nostri partiti hanno mantenuto con Mosca canali più che amichevoli. Secondo la ricerca di Ipsos appoggiano le tesi del Cremlino il 13% degli elettori di Fratelli d’Italia e il 7% della Lega, mentre il sostegno più solido all’Ucraina è di chi vota Pd (74%) e 5 Stelle (57%, anche se in passato esponenti del movimento non hanno nascosto simpatie putiniane, a cominciare dal fondatore Beppe Grillo). Sull’andamento del conflitto pesa l’evidenza che la Russia possiede ordigni nucleari e minaccia di farne ricorso. Così il 24% dei nostri connazionali teme di ritrovarsi coinvolto in una guerra su larga scala. Ma chi si dichiara molto preoccupato per ciò che sta accadendo in Ucraina stranamente è sceso dall’86 all’80%.

Per quanto riguarda l’informazione, il 41% degli italiani la considera troppo sbilanciata a favore di Kiev, per il 27% è neutrale e oggettiva. Eppure nei talk show spopolano esperti e giornalisti anti-Nato e Massimo Giletti con il suo programma «Non è l’arena» si è spinto fino nella Piazza Rossa di Mosca per una diretta rivelatasi tragicomica. Poi ci sono i cronisti nel cuore del conflitto, come Paolo Pellegrin, fotoreporter dell’agenzia Magnum, vincitore di 10 World press photo, 58 anni di cui 25 trascorsi tra Kosovo, Iraq, Siria, Afghanistan, Libia e Donbass. Ha dichiarato: «Ho visto tanti conflitti e so che nella guerra non c’è razionalità. Ma quello che ho vissuto in Ucraina supera ogni idea di terrore».

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