La Lega slitta sempre più sulla destra estrema

ITALIA. Se il raduno di Pontida è il termometro delle passioni del popolo leghista, l’applausometro rappresenta un indicatore credibile: dà una traccia. Il maggior consenso, Salvini a parte, è andato ai due vice segretari: l’eurodeputata Silvia Sardone e l’ex generale Roberto Vannacci, estimatore della X Mas, promosso generalissimo sul campo.

Un comizio il loro, non un semplice intervento al pari di quelli degli altri esponenti, radicalmente ostile verso i migranti islamici. Entrambi hanno invocato la «remigrazione» e Vannacci s’è spinto a dire che «lo straniero ci ha già invaso» rieditando il vecchio slogan «padroni a casa nostra», mentre lo stesso Salvini ha posto almeno qualche distinguo. La distribuzione degli applausi conta e pesa: la sensazione è che il tradizionale evento abbia segnato, pure sul piano delle suggestioni, un ulteriore slittamento della Lega verso la destra estrema, confermata anche dagli ospiti stranieri.

Vannacci mattatore

E qui, accanto al ruvido discorso del figlio di Bolsonaro, l’ex presidente brasiliano condannato per tentata eversione, c’è da segnalare il francese Bardella, delfino di Marine Le Pen, controllato nel linguaggio ma duro nella condanna di questa Europa, e già nei panni di candidato presidenziale. L’ex generale è stato il mattatore della vigilia e ieri ha avuto la sua parte, ma il nodo resta l’innesto di un altro mondo su un corpo dalle radici nordiste e dall’identità smarrita, e ora in una transizione dagli esiti incerti e da completare.

Zaia e Giorgetti

Zaia, fra i più rappresentativi del profondo Nord, anche nel giorno più importante è stato guardingo sull’argomento. Il ministro Giorgetti ha buttato lì una frase enigmatica («Serve un solo capo, ci vuole rispetto per la gerarchia»), variamente interpretabile. Se Vannacci non ha fatto breccia nei quadri dirigenti che provengono dal filone storico, s’è comunque preso il cuore di numerosi militanti: un percorso agevolato in modo esplicito («valore aggiunto») da Salvini. Qui a Pontida le due sponde si sono confrontate di persona, annusandosi a vicenda. Nella congiunzione fra Lega di ieri e di oggi, bisogna quindi osservare quanto spetta ancora al piccolo-grande universo dell’autonomia (rilanciata con la Carta del Nord o Carta della Lombardia) che s’è riappropriato di un quarto d’ora di notorietà, rendendo noto che intende continuare a marcare il proprio territorio.

La Lega sperava nell’effetto annuncio che non c’è stato: la formalizzazione della pre intesa con Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria sull’Autonomia regionale differenziata è rinviata a dicembre ed è ancora in alto mare il fronte accidentato della corsa alla successione a Zaia

Ma la presa emotiva e il clima ambientale non paiono essere quelli della stagione che fu. In più l’impressione, neppure troppo mascherata, che gli alleati di governo non siano sul pezzo. La Lega sperava nell’effetto annuncio che non c’è stato: la formalizzazione della pre intesa con Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria sull’Autonomia regionale differenziata è rinviata a dicembre ed è ancora in alto mare il fronte accidentato della corsa alla successione a Zaia. E se il Veneto, il contenitore dell’immaginario collettivo del sindacato di territorio, non torna a guida leghista ci sarà qualche problema, avverte il governatore in uscita. Il punto centrale dell’adunata sul pratone è stato l’aver tributato un sentito omaggio corale a Charlie Kirk, l’attivista Maga assassinato in America, chiarendo - nel contesto italiano dove le destre sono due e in dura competizione - quale sia il partito legittimato a reclamarne l’eredità politica. Il tutto virato sul registro sentimentale, in cui la Lega si racconta come vittima, assediata dal sistema mediatico e dalla faziosità delle sinistre, oltre che dai poteri ritenuti più o meno forti. Da qui l’inno martellante al coraggio, al richiamo valoriale di un Occidente ideologico che non è più quello di una volta, all’attivismo «senza paura» e concettuale di un tradizionalismo in purezza. «Liberi e forti», diceva la scritta a caratteri cubitali, che ricalca in modo forse inconsapevole (come è stato notato da qualche osservatore) il motto di una storia politica di tutt’altro genere e consistenza, ovvero il celebre appello di don Sturzo lanciato nel 1919. Salvini non ha aggiunto molto al già noto. Nel ribadire che «non siamo in guerra con nessuno», e che quindi non se ne parla proprio di mandare gli italiani a combattere in Ucraina, ha annunciato una mozione in tal senso in tutti i Comuni e, per il prossimo 14 febbraio, una manifestazione in difesa della «civiltà occidentale».

Su uno sfondo che si vorrebbe a portata di mano, resta l’obiettivo di agganciare il ceto medio attraverso la riduzione delle tasse e la cosiddetta «pace fiscale». Salvini lo ha riaffermato, Giorgetti è d’accordo, richiamando tuttavia la responsabilità del governare: mettere insieme le due cose, per un governo pur promosso sui conti pubblici, sarà il tema controverso di un autunno caldo.

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