La legge di bilancio dalle molte incertezze

Economia. Stretta tra i vincoli europei, le promesse elettorali e i «niet» dei supertecnici della Ragioneria generale dello Stato, la Manovra del governo Meloni va e viene dall’aula alla commissione Bilancio, annaspando verso il traguardo della fiducia, nella speranza di evitare l’esercizio provvisorio.

Considerato che 21 dei 35 miliardi sono già bloccati per i ristori del caro bollette e del caro energia già previsti da Draghi (c’è chi l’ha ribattezzata «la manovra senza soldi») alla fine si tratta di una Finanziaria che traccheggia, tra taglia e cuci e retromarce, senza onore e senza infamia, come quando non si hanno molti fondi a disposizione, con provvedimenti ed emendamenti che vedono la luce di un mattino come le falene (lo scudo penale per i reati fiscali) ed altri che sono serviti solo a infiammare i titoli dei giornali, vedasi il tetto massimo di 60 euro per rifiutare il Pos che ha dato luogo a infinite diatribe, finito nel nulla dopo settimane di dibattito nazionale.

Considerato che il tanto sbandierato taglio al cuneo fiscale si attesta su un simbolico 2% e riguarda una fascia ristretta di lavoratori (sotto i 35mila euro) con le pensioni a quota 102, l’unico provvedimento di rilievo sono le picconate al reddito di cittadinanza, che da otto mensilità scende a sette per il 2023. Non solo, ma grazie a un emendamento sparisce la parola «congrua» accanto all’offerta di lavoro che non può essere rifiutata, pena la perdita dell’assegno. Non viene più considerata l’esperienza pregressa maturata e nemmeno la distanza (finora è 80 chilometri). Dunque se sei di Bergamo e ti arriva un’offerta di lavoro da Caltanissetta o la prendi o fai la fame. Sorvoliamo sul tipo di offerta, ammettiamo che si sia disposti a prendere di tutto, ma mettiamo che l’offerta arrivi a una madre single di due figli (che è la situazione in cui si incorre di più nell’indigenza in Italia secondo l’Istat).

Dovrebbe accettare di pagarsi il viaggio, vendersi la casa per comprarne una nuova in Sicilia, cambiare scuola, amicizie, allontanarsi da legami parentali, magari in poco tempo perché l’azienda ha bisogno di quel posto di lavoro con urgenza. Come diavolo è concepibile che accetti? È chiaro che quel provvedimento - se queste sono le regole - è destinato a creare nuovi poveri e basta. Ma naturalmente la ministra del Lavoro Marina Calderone dice che la questione è ancora oggetto di confronto e confluirà in un decreto previsto a gennaio. Non c’è mai niente di definitivo in questo Paese, non si capisce più niente. Il ministro dell’Economia Giorgetti nel commentare il taglio del reddito di cittadinanza dice che è ora di tornare nel mondo del lavoro. Quale? Quello che si verrà a creare con il taglio del 2% del cuneo fiscale per i percettori di un reddito inferiore ai 35mila euro?

E a proposito di provvedimenti legati all’Isee. Il bonus cultura, che permetteva ai diciottenni di acquisire libri, biglietti di teatro e mostre, non c’è più, varrà solo per i percettori di reddito bassi o per i meritevoli che hanno preso 100 alla maturità. Lasciamo stare il fatto che al Sud i 100 si elargiscono molto più generosamente che al Nord (lo dice l’Istat) e dunque si creano delle discriminazioni di fatto. Ma consideriamo l’assunto di fondo: si premiano solo i meritevoli (che peraltro non hanno bisogno di «spinte» per amare i libri perché li amano già). E i non meritevoli? Devono rimanere ignoranti? Non è certo il reddito a stabilire la «povertà culturale di un ragazzo», l’App18 dovrebbe essere un provvedimento universale che stimola la voglia di cultura. I genitori dei diciottenni abbienti peraltro pagano già più tasse rispetto ai genitori meno abbienti attraverso l’Irpef, che è progressiva. Così come è stato riformato il buono ai diciottenni da universalista diviene una misura assistenziale.

Il permesso di caccia ai cinghiali nelle città poi è qualcosa che ha del surreale e che ci riporta alla legge della giungla. Naturalmente quello che va tutelato sopra ogni cosa è il calcio, non sia mai: è passato alla grande il cosiddetto emendamento salvasport, che consentirà di spalmare i debiti delle società in 60 «comode» rate. «Panem et calcenses»: può mancare il primo, ma guai a fare a meno dei secondi.

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