
L'Editoriale
Mercoledì 01 Ottobre 2025
La Moldavia europea, una buona notizia
MONDO. Non era per nulla scontata l’affermazione europeista alle elezioni parlamentari di domenica scorsa in Moldavia. Il Partito d’azione e solidarietà, legato alla presidente della Repubblica, Maia Sandu, ha ottenuto il 50,03% dei voti, rispetto al 24,26% del Blocco patriottico filo Mosca.
Non era scontata perché la campagna elettorale è stata segnata dalle intromissioni russe, con finanziamenti indiretti a partiti di opposizione e a media per la propaganda, hackeraggio di siti internet privati e pubblici. Liquidare questi fatti come «fake news occidentali» non toglie loro verità. È la guerra ibrida, che i Paesi dell’Europa centro-orientale conoscono bene e (inascoltati) denunciano da anni, comprendendo anche i sabotaggi degli oleodotti nel Mar Baltico. Svezia, Finlandia, Estonia, Lituania, Lettonia e Polonia hanno redatto e inviato all’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile un rapporto nel quale documentano come nei primi quattro mesi di quest’anno 122.600 voli hanno registrato interferenze nei sistemi Gps e in altri satellitari a causa delle azioni russe. Solo ad aprile, i disservizi hanno interessato in media il 27,4% dei voli (circa 43 mila) e in alcune aree la percentuale ha superato il 42%. In totale sono stati colpiti aerei di 365 compagnie. «Valutiamo la situazione come grave, poiché il numero di malfunzionamenti continua ad aumentare», ha dichiarato Andreas Holmgren, capo del dipartimento presso l’Agenzia svedese dei trasporti.
La Moldavia è un piccolo Paese con soli 2,4 milioni di abitanti e una regione, la Transnistria, proclamatasi indipendente nel 1990, mai riconosciuta dall’Onu e presidiata dall’esercito del Cremlino. Un Paese piccolo e diviso ma strategico: confina infatti con l’Ucraina e in particolare con l’oblast di Odessa nelle mire di Vladimir Putin già all’inizio dell’invasione su larga scala nel 2022, sogno mai negato perché la città «perla del Mar Nero» ha storicamente legami con la Russia, rescissi da parte ucraina dopo l’aggressione. Se il governo moldavo avesse cambiato colore, passando a quello delle forze pro Mosca, la Moldavia sarebbe potuta diventare rampa di lancio per il conflitto, come lo è la Bielorussia. Ora invece Chisinau proseguirà nel percorso di avvicinamento all’Ue, alla quale tendono anche altri Stati dell’area.
L’allargamento dell’Europa a Est
È legittimo opporsi all’allargamento dell’Unione a Est ma non si può negare che questa tensione esista e sia maggioritaria: lo dicono elezioni e referendum, non è un sentimento eterodiretto da Bruxelles. La Georgia ha chiesto di entrare nella Ue nel marzo 2022 e ha previsto il passaggio nella Costituzione. Il partito «Sogno georgiano» ha condotto la campagna elettorale per le parlamentari dell’anno scorso con un programma che confermava la linea europeista, avendo addirittura nel suo simbolo le 27 stelle della bandiera dell’Unione. Vinte le elezioni, ha disdetto la promessa prorogandola. Da oltre 300 giorni a Tblisi e in altre città si tengono manifestazioni per chiedere nuove elezioni, dopo che l’Osce (organizzazione della quale fa parte anche la Russia) ha certificato brogli nel 2024. Il nuovo governo ha risposto con la repressione violenta messa in atto dalla polizia e con arresti di cittadini, rappresentanti delle opposizioni e giornalisti, una deriva autoritaria che avvicina pericolosamente la Georgia alla Bielorussia, unico Stato dell’Europa orientale alleato di Mosca.
La storia e il caso ucraino
Vicende che ricordano quanto accaduto in Ucraina: nel 2010 Viktor Janukovyč venne eletto presidente con un programma che prevedeva l’adesione al Trattato di associazione all’Ue, mentre il Cremlino pressava per l’ingresso nell’Unione doganale con Mosca e nell’Organizzazione euroasiatica. Atteso al vertice di Vilnius per la firma del Trattato, Janukovyč non si presentò e la reazione della piazza con la «Rivolta della dignità», come è chiamata dagli ucraini e che avvenne non solo a Kiev, lo spinse a dimettersi. Non fu un colpo di Stato, come si dice: non cambiò la struttura istituzionale, il presidente fu sfiduciato in Parlamento anche dal suo partito proprio perché aveva tradito il mandato elettorale, nacque un nuovo governo di unità nazionale e il Paese tornò alle urne. Putin capì che stava perdendo il controllo del Paese al quale non riconosce sovranità perché «territorio russo» e annesse militarmente e illegalmente la Crimea, per poi sostenere con armi e uomini i secessionisti del Donbas. Fu l’inizio della prima invasione e del conflitto tuttora in atto.
Il revanscismo moscovita è libero di desiderare il ritorno alle sfere di influenza esercitato facendo leva su guerra ibrida e minoranze russe. Gli Stati indipendenti dell’area di respingerlo. Non si può negare però che questo revanscismo abbia aperto una faglia non solo fra Russia ed Europa occidentale ma soprattutto, e da un ventennio, fra Russia ed Europa centro-orientale. Sono i cascami geopolitici della fine dell’Urss: la storia non era finita allora.
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