La politica del tutti
contro tutti o forse no

Poche vicende al pari del Mes (il fondo salva Stati) potrebbero mettere in luce in modo altrettanto persuasivo quale grado di confusione regni ormai nella politica. Non solo sul tema la maggioranza è paralizzata da contrasti inconciliabili, ma pure in parlamento le posizioni al riguardo non sono meno distanti. Non c’è forza politica che condivida le posizioni di un’altra. FI è favorevole a richiedere i 36 miliardi messi a disposizione dal Mes, ma si oppone (seppur al costo di una frattura interna) alla sua riforma. Esattamente il contrario di quel che pensa il M5S. Questo ha deciso di acconsentire, contrasti interni permettendo, ad approvare la riforma del Mes. Continua però a non voler sentir parlare di utilizzarne i fondi. Diverso ancora l’atteggiamento di Pd e Italia viva.

Questi sono favorevoli sia allo strumento del Mes sia all’utilizzo dei suoi fondi, mentre Lega e Fratelli d’Italia sono contrarissimi ad entrambi. Niente di nuovo sotto il cielo, si dirà. Confusione c’è sempre stata e confusione resta. Tutt’al più, siamo a una situazione limite.

Può essere, ma è difficile negare che negli ultimi tempi si siano messi in moto dei processi che hanno spinto verso un ulteriore frazionamento delle forze politiche. Primo fattore. Fino alla legislatura chiusasi nel 2018, il discrimine destra/sinistra riusciva bene o male a inalveare differenziazioni e conflitti. Lo schema bipolare è saltato con la formazione del governo gialloverde, Si sono coalizzate allora due forze - Lega e M5s - non solo nemiche, ma collocate anche in due campi alternativi. Per un momento è sembrato comunque che il nuovo criterio ordinatore fosse Europa sì/Europa no. La formazione, un anno dopo, del governo giallorosa, consumando l’abbraccio tra euroscettici e filoeuro, ha dimostrato che non c’è più una coalizione impossibile. A maggior ragione ora che il M5s ha abbattuto l’ultimo tabù. Di Maio non esclude più, infatti, un dialogo (collaborazione?) persino con Fi, il partito tacciato fino a ieri di raccogliere i voti tra «i galeotti, i corrotti, i mafiosi». Una seconda spinta a togliere veti nei confronti degli avversari e al contempo a marcare la propria identità per non perdersi nel mucchio viene dalla crisi sanitaria ed economica in atto.

La maggioranza sta convincendosi di non avere la forza sufficiente per reggere il peso delle misure impopolari da adottare, mentre l’opposizione teme che non le convenga puntare sullo sfascio: rischierebbe di ereditare, una volta al governo, un paese impossibile da risollevare. Terzo stimolo per i partiti a non escludersi da future coalizioni di governo è fornito dal probabile ritorno al proporzionale. Con tale meccanismo di voto nessuno ha più interesse a isolarsi. Si priverebbe di ogni possibilità di entrare in future coalizioni di governo. Nello stesso tempo tutti hanno bisogno di esaltare la propria originalità. Detto, fatto. Giovedì della settimana scorsa il centrodestra è sceso dalle barricate e ha votato lo scostamento di bilancio proposto dalla maggioranza, tra gli applausi di Pd e Italia viva. Il giorno dopo, Di Maio ha lanciato un appello per «superare gli steccati ideologici» e «disarmare il conflitto politico». Insomma, si sta contrattando oggi un armistizio per trattare domani un gentlement agreement che consenta apparentamenti fino a ieri impensabili. Con le inevitabili reazioni da parte di chi vede come il fumo negli occhi un disarmo della politica. La sinistra radicale ha subito lanciato con la proposta della patrimoniale il suo grido di battaglia in faccia alla destra. Da parte loro, «i grillini di lotta» hanno lanciato il loro guanto di sfida ai «grillini di governo» operando una scissione. Sempre che il voto di mercoledì prossimo sulla riforma del Mes non faccia saltare la legislatura.

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