La politica estera Usa tra falchi e colombe

Esteri. Sostanziale pareggio alle Legislative di medio termine tra democratici e repubblicani americani; ma gli anziani leader dei due schieramenti, Joe Biden e Donald Trump, dovranno guardarsi alle spalle per la sfida lanciata loro da candidati più giovani e in rapida ascesa in vista delle presidenziali del 2024.

Questo è in estrema sintesi il significato del voto americano. La marea «rossa» repubblicana, indicata alla vigilia della consultazione come nettamente vincente, non c’è stata. Anzi. Sorgono, pertanto, dubbi su come vengano condotti i sondaggi: non è che alcune di tali rilevazioni - è una delle ipotesi - servano più che altro a indurre gli elettori indecisi a saltare sul carro del possibile vincitore?

Le tematiche di difesa dei diritti hanno tenuto in piedi i democratici rispetto alle diffuse preoccupazioni economiche - legate all’inflazione, all’alto prezzo dell’energia, alla sicurezza, all’immigrazione - evidenziate dai repubblicani. I primi conservano di poco il controllo del Senato, mentre i secondi conquistano il Congresso per qualche seggio. Come è nella tradizione del voto del midterm, la Casa Bianca ne esce indebolita, ma non si è assistito al ribaltamento della maggioranza come avvenne nel 1966, 1974, 1994, 2010, 2018.

Il presidente Joe Biden sarà ora costretto a condividere maggiormente le proprie scelte con gli avversari politici, che devono, però, fare i conti con l’ingombrante presenza di Donald Trump, un tempo colui che resuscitò il GOP (i repubblicani), adesso un sopportato in casa. Lasciando ad altri le questioni politiche interne statunitensi, l’aspetto che al momento interessa maggiormente noi europei è quale sarà la politica estera di Washington nei prossimi 6-18 mesi. Con le bufere in corso sullo scenario internazionale pensare a lassi di tempo più ampi sembra superfluo.

La prima voce in agenda è quella ucraina. Biden ha ribadito pubblicamente, ancora di recente, il pieno sostegno politico a Kiev. Washington ha anche e soprattutto stanziato ulteriori fondi per finanziare le forniture militari. La tecnologia Usa, oggi più evoluta di quella russa, nel campo dell’artiglieria sta facilitando la controffensiva degli ucraini, che si sono ripresi la regione di Kherson, la porta di ingresso principale alla penisola della Crimea. Se i parlamentari democratici appoggiano in pieno le posizioni di Biden, tra quelli repubblicani - stando ad uno studio qualificato - si intravvedono delle differenze. La principale è che vi è un gruppo di eletti del GOP il quale vorrebbe ridurre i finanziamenti agli ucraini per le spese umanitarie, ma addirittura aumentarle in campo militare.

Riassumendo, la posizione degli Stati Uniti sull’Ucraina non dovrebbe cambiare. Semmai potrebbe aver luogo una discussione animata tra «falchi» e «colombe» – ma divisi trasversalmente nei due schieramenti – sull’opportunità di aprire o meno una trattativa col Cremlino. Il problema centrale è che, però, gli ucraini non ne vogliono sapere di fermarsi proprio ora che la loro «reconquista» dei territori occupati dai russi pare difficilmente frenabile.

La seconda voce in agenda è quella dei nuovi compiti della Nato davanti alle sfide continentali attuali e all’urgente necessità dell’Occidente di rimanere compatto con la guardia ben alta. Gli americani chiederanno agli alleati europei di prendersi maggiori responsabilità e oneri anche perché, come visto dal vertice di Bali con il cinese Xi Jinping, l’America di Biden come in precedenza quella di Trump è più attratta dall’area dell’Asia Pacifico. È tempo quindi che gli europei diventino adulti.

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