La politica italiana è sempre più divisa

Sulla politica italiana la guerra sta producendo conseguenze molto contraddittorie. Tanto che ci si potrebbe chiedere quanto a lungo potrà durare questo equilibrio – che ci dovrebbe portare sino alle elezioni politiche dell’anno prossimo – nonostante che la gravissima situazione internazionale stia facendo da «collante» alla politica un po’ in tutti i Paesi d’Europa. Però da noi la situazione è veramente complicata. È come se ci fossero due linee parallele che non si incontrano. La prima linea è quella del governo: Draghi, con il pieno sostegno di Mattarella, partecipa al concerto internazionale ed europeo sulla guerra in piena solidarietà con gli alleati.

Tant’è che Palazzo Chigi ha precisato che l’Italia non avrebbe posto alcun veto al quinto pacchetto di sanzioni ai danni di Putin anche se si sapeva che esso avrebbe contenuto misure che cominciano a delimitare la nostra dipendenza dalla Russia: si è cominciato col carbone, e probabilmente si faranno altri passi nonostante la netta contrarietà della Germania, basterà aspettare la prossima strage scoperta dai media in Ucraina. Nello stesso tempo continuiamo a mandare armi a Zelensky ed espelliamo, come tutti gli atri partner, gruppi di diplomatici russi, cioè di spie che i nostri servizi segreti tenevano d’occhio. Quindi tutto lineare, coerente, molto fermo e deciso: l’Italia non tentenna, può andare a testa alta ai vertici con gli europei e gli americani. Ma proprio sull’espulsione delle spie scatta la seconda linea, quella dei partiti e delle loro enormi contraddizioni. Infatti dalla misura decisa dal ministro degli Esteri prende le distanze la Lega: una misura che non favorisce il dialogo, dicono a via Bellerio. E sia. Il problema è che il leader del Carroccio Salvini, pesantemente colpito dalle ultime rivelazioni di Report-Rai sui suoi rapporti con Mosca e i circoli degli oligarchi più vicini a Putin, non ha ancora detto una sola parola sull’eccidio di Bucha, e la cosa è stata notata. Salvini è nella maggioranza di governo ma più le cose si complicano e l’emergenza si fa grave per tutta l’Europa, più questa contraddizione rischia di esplodere.

Senza considerare il continuo rimestio dei Cinque Stelle, altro partito sotto accusa per via dei vecchi rapporti con Putin. Mentre Di Maio ha dimenticato le simpatie di un tempo per lo zar, Conte ha tirato fuori un pacifismo molto accentuato che ha fatto riemergere i sospetti e soprattutto ha irritato l’alleato Enrico Letta, segretario del partito più filo-europeista e filo-atlantista del governo Draghi. L’atteggiamento di Conte, che è riuscito a diluire il nostro impegno ad aumentare le spese militari (da lui sottoscritto due volte da presidente del Consiglio) ha aperto una faglia col Pd cui per il momento è stato posto un rimedio molto provvisorio (non si è votato in Parlamento sulle posizioni grilline) ma che potrebbe riallargarsi in qualunque momento.

Queste posizioni producono l’effetto di riavvicinare, come ai tempi del governo giallo-verde, Conte e Salvini che pure avevano clamorosamente rotto i rapporti dopo la crisi del Papeete. Che sbocchi avrà questa nuova intesa? Ce n’è a sufficienza per mettere in allarme Letta (che oltretutto ha una grana tutta interna da risolvere: la sinistra-sinistra del partito, sensibile ai richiami della piazza, comincia a fare la fronda proprio sull’invio di armi agli ucraini).

Ultima contraddizione. Fratelli d’Italia, che ora sembrerebbe attestarsi sul podio più alto, sia pure a una incollatura col Pd, e dunque virtualmente candidato a governare nella prossima legislatura, ha una posizione impeccabile, più simile a quella di Draghi e del Pd che a quella dell’«alleato» Salvini: sta con gli Usa con Zelensky e contro Putin. Peccato che – come Salvini – esulti per la vittoria elettorale dell’unico leader filo-putiniano dell’Unione europea, e cioè il destro sovranista Viktor Orban.

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