La Russia di Putin vota, l’incognita proteste

IL VOTO. Nessuna interferenza esterna, nessuna intrusione interna. Nulla deve turbare la corsa in solitario del «leader nazionale» verso il quinto mandato.

Tutto è stato studiato nei minimi particolari. A partire dai politici, a cui è stato permesso candidarsi. La Commissione elettorale gioca un ruolo fondamentale nell’attuale sistema. È lei che include oppositori di facciata ed esclude coloro che potrebbero creare grattacapi. Ufficialmente per «violazioni». Poi tocca ai mass media. Secondo uno studio di una Ong russa nella settimana pre-elettorale nei sei principali tele-canali Vladimir Putin ha avuto una copertura di 999 minuti, mentre tutti e tre i restanti candidati complessivamente 34 minuti.

Da qui nasce l’immagine, nella gente di medio-bassa istruzione, che, a parte il presidente uscente, non vi siano altri politici in Russia, quindi la scelta diventa logica. In precedenza la riforma costituzionale del luglio 2020 aveva annullato i primi mandati, già svolti da Putin, che, volendo, potrà ripresentarsi anche nel 2030. Il potere ha deciso di far svolgere le presidenziali in tre giorni: da ieri a domani. Lunedì è prevista la giornata del trionfo in concomitanza con il decimo anniversario del «ritorno» della Crimea alla madrepatria.

Allungare il numero delle giornate della votazione e introdurre il voto elettronico (3,5 milioni di elettori si sono prenotati) servono per complicare il controllo di consultazioni senza veri osservatori. Boris Nemtsov - il vice-premier dei tempi di Eltsin ucciso davanti al Cremlino nel 2015 - aveva scritto che «Putin è guerra». Proprio ad un lungo scontro con l’Occidente il presidente sta preparando ora il suo Paese. Solo così potrà mantenere il timone. Giusto per onor di cronaca sono quattro i candidati (oltre a Putin, il comunista Kharitonov, l’ultranazionalista Slutskij e la «new entry» Davankov). Proprio su Davankov, che rilancia dichiarazioni simili a quelle del pacifista escluso Nadezhdin, potrebbero convergere i voti delle opposizioni o di protesta. Ma non sarà facile.

I dati più significativi dovrebbero comunque essere quello dell’affluenza alle urne e quello delle schede annullate. Nel 2018 il matematico russo Serghej Shipkin mise in dubbio 10 dei 56 milioni di voti assegnati a Putin. Allora il presidente uscente ottenne il 77% delle preferenze del 67,5% degli elettori che parteciparono alla consultazione. Il Cremlino oggi ambisce: primo, a raggiungere la soglia dell’80% di voti per Putin; secondo, a non vedere la nascita di un potenziale candidato alternativo al «leader nazionale»; terzo, a non leggere un alto numero di schede annullate (con tutti i candidati cancellati o con il nome di Navalnyj sopra); quarto, a non far riprendere dalle tivù masse di elettori alle urne all’«appuntamento di mezzogiorno».

Come si ricorderà, la vedova del dissidente appena scomparso – che ha sollevato dubbi sulla «legittimità» di un capo dello Stato eletto in questo modo - ha invitato i russi a protestare tutti insieme domani alle 12 in punto. Il 20% di schede nulle o per Davankov potrebbe determinare una «vittoria di Pirro» per Putin e aprirebbe scenari imprevedibili in un Paese in cui l’uso degli anti-depressivi ha avuto un’impennata esponenziale; le famiglie con lutti legati alla morte di propri cari in Ucraina sono in costante aumento; in tutte le regioni occidentali dal Baltico al mar Nero i droni di Kiev bombardano di continuo infrastrutture energetiche e industriali. Da questi elementi si capisce il nervosismo imperante nel potere russo: il classico rigore a porta vuota.

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