La sinistra che si fa male e la destra che brinda

ITALIA. Il referendum ha mancato di molto la metà più uno degli elettori e quindi è come se non si fosse tenuto. Il referendum non è riuscito a terremotare il governo, che adesso è più in piedi di prima. Il referendum non ha convinto gli elettori moderati che si devono esser chiesti: perché la sinistra vuole abrogare una legge sul lavoro votata dalla sinistra medesima e così mollare un ceffone al governo di destra?

E in più il referendum ha provocato la beffa del quasi 40 per cento di «no» alla cittadinanza più rapida per gli immigrati: anche a sinistra evidentemente c’è chi indietreggia. Questi sono i risultati di una giornata nera per la gauche italienne, ora costretta a fare i conti con un brutto autogoal dalle lunghe conseguenze. Ma andiamo per ordine.

Notizia già nota

Che il referendum, istituto quantomai logorato, non avrebbe raggiunto il quorum era cosa che tutti sapevano anche se ovviamente non lo ammettevano, un po’ per scaramanzia un po’ perché prima della battaglia bisogna infondere certezza nella vittoria. Per spingere l’orgoglio della sinistra a galvanizzare gli elettori anche in una domenica perfetta per la spiaggia e i bagni di mare, Landini, Conte, Schlein e Fratoianni hanno convocato la manifestazione su Gaza per il 6 giugno, all’antivigilia del referendum: si pensava che una mobilitazione così emozionante (e anche riuscita) finisse per trascinare le folle alle urne.

I segnali non arrivati

Non è servito. Né è stato utile l’arzigogolo escogitato dal piddino Francesco Boccia secondo il quale, anche se il referendum non avesse conquistato il quorum ma avesse raggiunto e superato i dodici milioni di voti (contando anche i no?) questo avrebbe mandato il segnale di sfratto per Meloni che nelle elezioni politiche del 2022 raccolse appunto qualcosa più di dodici milioni di voti. Insomma, il Pd puntava ad una conta politica fuori delle elezioni. Ma siccome l’argomento era chiaramente forzato, si è rivelato talmente inefficace che ieri Boccia era già rimasto il solo a difenderlo. Tutti gli altri ora ammettono: «Ci siamo fatti del male da soli». Naturalmente l’ideatore della conta, Maurizio Landini, aspirante federatore del campo della sinistra, non si dà per vinto, dà la colpa dell’accaduto alla «evidente crisi democratica» del Paese rispetto al quale lui non se la sente di dimettersi, anzi non vede proprio la ragione di smettere di combattere di fronte all’«appello della destra per l’astensione che ha messo in gioco la democrazia». Di sicuro da oggi non si parlerà più del segretario della Cgil come del futuro leader della sinistra italiana: è lo stesso destino che capitò a Sergio Cofferati quando scagliava la Cgil contro il governo Berlusconi ma poi dovette ritirarsi in Liguria a combattere i renziani del posto.

La vittoria della destra

Chi brinda è naturalmente Giorgia Meloni insieme ai suoi alleati. Avevano fatto un appello agli elettori perché facessero fallire la prova non andando a votare, e hanno raggiunto il loro obiettivo. «Abbiamo fatto un enorme regalo alla destra» dicono adesso i riformisti del Pd che meditano una resa dei conti con la segretaria che li ha guidati in battaglia fino allo sconfitta. Che il governo e la coalizione ne escano rinfrancati lo si capisce dalle dichiarazioni di Ignazio La Russa che, smessi gli abiti austeri da presidente del Senato, indossata la maglietta della squadra, non è riuscito a contenersi: «La campagna di odio ha schifato gli elettori», si accalorava ieri di fronte a qualunque microfono gli capitasse a portata di bocca. È però probabile che ci azzecchi quando dice: «Il campo largo della sinistra è morto per sempre». Lo vedremo alle prossime elezioni regionali, neanche tanto lontane.

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