La supplica di Bergoglio a favore del dialogo

Il commento. Dedica l’intero Angelus alla guerra in Ucraina. La scelta di Papa Francesco è grave e dimostra tutta la preoccupazione della Santa Sede per un conflitto diventato «devastante e minaccioso». Si tratta di una scelta rarissima, che Bergoglio fece solo un’altra volta il 1° settembre 2013, Papa da meno di sei mesi, per la guerra in Siria e rivelare la sua angoscia per «i drammatici sviluppi che si prospettano».

Ieri lo ha ripetuto allarmato per i rischi di allargamento del conflitto in Ucraina. Ma se nove anni fa le sue parole potevano essere interpretate come un appello alla pace, quelle di ieri sono apparse una supplica davanti all’ «assurdo», questa è stata la sua valutazione, della «minaccia nucleare». Il testo, letto e riletto, ha lo stesso stile, lo stesso tono, lo stesso carattere spaventato e tormentato del Radiomessaggio di Giovanni XXIII trasmesso dalla Radio Vaticana alle 12 del 25 ottobre 1962 che fermò i missili sovietici diretti a Cuba, anche allora sull’orlo del conflitto nucleare. E anche allora Roncalli supplicò per «evitare al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze».

Sessant’anni dopo cosa accadrà? Per il Papa è assurdo essere tornati sotto la minaccia nucleare e scongiura Putin di fermarsi e Zelensky di trattare. Allo zar chiede di farlo «per amore del suo popolo». Per due volte in poche righe evoca il rischio dell’escalation nucleare e con drammatica chiarezza indica le «conseguenze incontrollabili e catastrofiche a livello mondiale». A Bergoglio in sette mesi di guerra e quasi novanta interventi, praticamente uno ogni due giorni e mezzo, hanno sempre detto di no. Putin, Zelensky e la Comunità internazionale non hanno mai seriamente deciso di correre il rischio della pace e hanno sempre preferito correre il rischio della guerra nucleare.

Tutti ne hanno orrore. Ma solo Bergoglio ha il coraggio di dirlo con appropriate parole pubblicamente dalla finestra di San Pietro. Nessuno ha mai preso sul serio la necessità di trattare. Tutti vogliono, ma sempre dopo. Francesco ieri li ha smascherati, sottolineando che i negoziati non vanno imposti con la forza e devono ricercare soluzioni giuste e stabili, nel rispetto della sovranità territoriale e dei diritti delle minoranze, tenendo conto delle loro legittime preoccupazioni. Ha invitato a utilizzate tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora «eventualmente non utilizzati».

Per la Comunità internazionale e le organizzazioni internazionali, Nazioni Unite in prima fila, è uno schiaffo pesante. Il Papa boccia tutti i tentativi fatti fin qui come troppo ambigui, calcolati sulla base di propri interessi e poco efficaci. Lascia intendere che quelli cruciali siano ben altri e che possono funzionare solo se ci si convince appunto che la guerra è «un errore e un orrore». A cosa si riferisce? Probabilmente ad un intervento diretto della Cina, che forse aveva intenzione di chiedere a Xi Jinping se avesse potuto incontrarlo in Kazakhstan, eventualità preventivamente e inopinatamente esclusa da tutti. Su una mediazione cinese c’è, si sa, il veto americano. Su una mediazione più risoluta dell’Europa, oltre ai veti interni, c’è sempre il fastidio di Washington.

Fa affari e sorride solo l’industria delle armi, basta osservare quotidianamente con attenzione i listini di Borsa. Nessuno ha mai ragionato seriamente sul negoziato. Molti hanno spiegato come farlo, con chi e cosa eventualmente trattare. Manca la convinzione che alla guerra si può porre fine solo con una trattativa (o un numero esagerato di morti). Ma alla domanda di Francesco una risposta va data: «Cosa deve ancora succedere?».

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