L’abbraccio al popolo che reagisce alle crisi

ALLUVIONE IN ROMAGNA. «La sua presenza è per noi una carezza»: così recita il cartello dei bambini della scuola Don Milani di Cesena, un nome che già dice tutto, per accogliere il presidente Mattarella in visita alle zone alluvionate.

Nell’era della comunicazione irruente e dell’intelligenza artificiale, la semplicità di un antico arnese artigianale restituisce il senso più autentico della vicinanza fra istituzioni e cittadini. Quasi a smentire chi, in tempi calamitosi, indugia in un giudizio completamente negativo delle sorti italiane, leggendovi una lenta dissoluzione delle tante forme di comunità. I disastri naturali, con il loro carico di dolore, ricreano il legame con ciò che ci circonda e, insieme, costruiscono un racconto popolare scritto dalle sofferenze e dai sentimenti di uomini e donne in carne e ossa. La violenza del presente, l’attesa di una ripartenza comune.

La forza gentile di quelle parole dei ragazzini non ci racconta un’altra Italia: non dovrebbe sorprendere, semplicemente perché si tratta di una replica, di una riscoperta. Forse invisibile ai più, ma dotata di resilienza, depositata nei sentimenti più intimi. Lo è al pari della mobilitazione collettiva, dello straordinario attivismo degli «angeli del fango». Era già successo con il Covid, quando abbiamo visto medici, infermieri e persone comuni impegnati allo stremo. Se le alluvioni impattano i territori, specie quelli produttivi, interrogando i limiti del nostro sviluppo e di una modernità che si vorrebbe senza fratture, l’altra faccia è il risveglio della coscienza civile a contatto con la realtà più brutale, capace di smuovere energie che pensavamo sopite. Poi, certo, domani è un altro giorno e tuttavia lo slancio affettivo non necessariamente può essere relegato a una parentesi. In ogni caso è un momento magico da catturare al volo: attenua il pessimismo della ragione e rafforza l’ottimismo della volontà. In fondo quando parliamo dello Stellone d’Italia, che ha accompagnato le fortune del Paese che pure ci sono state, ci dovremmo riferire proprio a questo tesoretto da capitale umano: una società civile reattiva, la spina dorsale del Paese, fatta di civismo e volontariato. L’Italia solidale, che non diserta, alla quale è giunto il «grazie» del presidente della Repubblica. Un «grazie» corale sorretto dall’impegno che la popolazione non resterà sola.

Per quanto le ricostruzioni non siano sempre state vicende di successo, è nel momento del bisogno, e contrariamente a un certo senso comune qualunquista, che ci si rende conto della forza vitale dello Stato e delle sue istituzioni, alimentata in questi decenni dalla più alta magistratura. Quel «patriottismo repubblicano» inteso a penetrare la coscienza della cittadinanza, a partire dalla storia reale del Paese, dei suoi momenti simbolici e delle sue tragedie. La coincidenza di tempi, in questo periodo, aggiunge nuovi capitoli alla trama di pedagogia civile realizzata da Mattarella, in quella declinazione itinerante che il presidente porta in ogni città, quasi a rassicurare e a ricucire un tessuto qua e là slabbrato: il ricordo del Manzoni e di don Milani, il Premio internazionale Paolo VI consegnatogli da Papa Francesco, il viaggio in Emilia Romagna. Parole precise ad ogni appuntamento, che stanno dentro un pensiero di società inclusiva, in cui c’è posto per tutti. Frasi servite anche a riaffermare i fondamentali della convivenza civile e della democrazia. Doveri, non solo diritti.

Del resto la concezione montiniana della politica, ripresa nel colloquio fra il Pontefice e il presidente, suggeriva che «prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli significa affermare il dovere dell’uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione dell’umanità». Quella responsabilità - e qui è Papa Bergoglio a parlare - che ci mostrano i romagnoli e che chiama «ciascuno ad andare controcorrente rispetto al clima di disfattismo e lamentela». Vedremo le scelte del governo, che in tema di nomine s’è mostrato schiettamente di parte. Un passaggio delicato riguarda la scelta del commissario per gestire la ricostruzione e qui si tratta di verificare quanto spetta al territorio, e alla sua rappresentanza, e quanto alla cucina partitica romana. Aspettiamoci un percorso accidentato: ieri la polemica innescata dal ministro Musumeci («Il governo non è stato invitato alla visita del Capo dello Stato»), con replica del Colle («Il Quirinale non ha mai fatto inviti: se qualcuno vuole venire è benvenuto»), è parsa quantomeno inopportuna, il peso di una nota a piè di pagina.

Il 2 Giugno è la Festa della Repubblica, una data che occupa un posto centrale nel calendario civile. Celebrare vuol dire guardare al passato per conoscere, ricordare chi siamo e da dove veniamo, e per richiamarci all’imperativo che dal ’46 ad oggi la storia non è passata invano. Lo spirito ricostruttivo del dopoguerra è rimasto un paradigma ineguagliato. Nella stagione del disincanto, ma con la lezione che ci viene dall’Emilia Romagna ferita, possiamo rendere omaggio alla «casa comune» anche prendendo a prestito le parole di un grande italiano, il Manzoni: «Si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio».

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