L’addio a Elisabetta e l’impero dei valori

Addio alla Regina Elisabetta II, icona della libertà e traghettatrice verso un nuovo mondo. L’8 settembre 2022, con la sua scomparsa, si è concluso per sempre il Novecento, definito dagli storici il «secolo breve», il secolo degli orrori, dei totalitarismi, delle ideologie, dell’oceano di sangue sparso. Ma il Novecento è stato anche il secolo della lotta disperata per la libertà anche quando tutto pareva perso, ad esempio nel 1940 quando il Regno Unito era sul punto di cadere davanti alle soverchianti forze del Reich e la principessina 14enne Elisabetta parlava alle famiglie isolane ogni sera alla radio per indurle a resistere, a combattere e a credere nella vittoria contro ogni logica del momento.

La Sovrana più longeva nella storia della monarchia britannica ha rappresentato l’aspetto più nobile di quel secolo tremendo e la sua visione della libertà l’ha aiutata ad affrontare le difficili sfide nei suoi 70 anni di Regno. La sua morte segna, quindi, la fine di un’epoca. Tantissimi sarebbero gli spunti su cui soffermarsi, ma uno in particolare ci preme segnalarlo, in relazione alle tragedie del passato e a quelle del presente contemporaneo in altre regioni del mondo, in un periodo in cui, come ha affermato Papa Francesco, «la storia mostra segni di regressione. Non solo si intensificano conflitti anacronistici, ma riemergono nazionalismi chiusi, esasperati, aggressivi».

Elisabetta II ha gestito il passaggio del Regno Unito dall’Impero al consolidamento del Commonwealth e alla nascita della Comunità multiculturale odierna che rappresenta oggi quella realtà così variegata e complessa, un tempo espressione di dominions, colonie, protettorati, territori. Sua Maestà ha garantito la stabilità necessaria, per evitare disastri, in una epoca di grandi cambiamenti; ha fornito solidità alle istituzioni che hanno sovrainteso alla decolonizzazione. Elisabetta II ha seguito alla lettera gli intendimenti espressi nel Natale 1953, quando definì il Commonwealth una famiglia di nazioni unica che «non ha somiglianze con gli imperi del passato. È una concezione completamente nuova, costruita sulle qualità più alte dello spirito dell’uomo: amicizia, lealtà e il desiderio per la libertà e per la pace. A questa nuova concezione di una partnership uguale di nazioni e razze darò cuore e anima in ogni giorno della mia vita».

Supponiamo per un attimo che Londra avesse voluto mantenere in piedi con la forza l’impero in un periodo di inarrestabile declino politico ed economico del Regno Unito. Cosa sarebbe successo? Quanto sangue sarebbe stato sparso? Quante tragedie avrebbe osservato l’umanità?

Invece anche in luoghi remoti, già parte dell’impero britannico, il sistema Westminster di democrazia parlamentare è stato adottato insieme alla Common Law inglese per i sistemi legali. Certo, il vantaggio di avere una lingua, diventata «lingua franca» internazionale - anche grazie allo sviluppo della superpotenza americana - ha facilitato il raggiungimento dell’obiettivo fissato da Sua Maestà nel 1953.

Ma l’esito non era scontato. L’8 dicembre 1991 nacque la Comunità degli Stati indipendenti, sulle ceneri dell’impero sovietico, presentata anch’essa allora come «Commonwealth». Come è andata a finire, oggi lo sappiamo tutti. Il Novecento se ne va con l’uscita di scena di Elisabetta II, la quale lascia un Occidente in cui la libertà ha posto le fondamenta e regala in casa propria una Comunità multiculturale, spazio di valori comuni. Non dissipare la sua preziosa eredità, in assenza della sua autorevolezza, sarà un compito non facile da portare a termine.

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