L’astro Mamdani, i partiti politici e noi

MONDO. L’elezione del nuovo sindaco di New York, Zohran Mamdani, ha comprensibilmente catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica ben al di là dei confini dei cinque «boroughs», i distretti che compongono la città di New York.

Ci sono buoni motivi per ragionare su quanto accaduto nell’area metropolitana più vasta degli Stati Uniti, ma ci sono anche riflessioni superficiali che sarebbe bene rettificare. Tra queste ultime, l’idea – davvero semplicistica – che l’elezione di Mamdani segni di per sé una svolta nella politica statunitense, l’inizio della fine del Presidente statunitense Donald Trump o addirittura del fenomeno populista e anti-establishment.

I nostri partiti politici dovrebbero fare tesoro del suo metodo di fare campagna porta a porta, non solo via social, come anche della scelta di temi sentiti dalla cittadinanza che si è mobilitata innanzitutto per il costo della vita alle stelle, e infine del piglio con cui ha affrontato la vecchia guardia del partito (grazie a regole chiare e prestabilite)

A impressionare perfino gli osservatori americani, c’è la capacità del neo sindaco - il primo di fede islamica da sempre e il primo under 35 dopo molto tempo – di mobilitare nuovi elettori, in particolare tra i giovani. Si sono recati alle urne oltre 2 milioni di newyorchesi, mai così tanti dal 1969. Tale rinnovata vitalità è sicuramente un merito di Mamdani, così come lo è la sua capacità di aver «scalato» il Partito democratico attraverso il metodo delle primarie che gli ha consentito di battere già la scorsa estate un peso massimo dem come Andrew Cuomo (poi ripresentatosi al voto come Indipendente). I nostri partiti politici dovrebbero fare tesoro del suo metodo di fare campagna porta a porta, non solo via social, come anche della scelta di temi sentiti dalla cittadinanza che si è mobilitata innanzitutto per il costo della vita alle stelle, e infine del piglio con cui ha affrontato la vecchia guardia del partito (grazie a regole chiare e prestabilite).

Sul fronte delle proposte politiche di Mamdani, invece, è più che legittima una maggiore dose di cautela per l’osservatore italiano. Innanzitutto perché, in campo economico, le idee roboanti sono destinate a rimanere tali quando non associate a una capacità di essere finanziate con le risorse adeguate. Rendere totalmente gratuito il servizio degli autobus pubblici, come anche ampliare a dismisura l’offerta dell’istruzione pubblica statale, rischia di essere tutt’al più un bel libro dei sogni. Se poi la soluzione per trovare le risorse finanziarie è semplicemente quella di «tassare i ricchi», allora Mamdani – pure in una città piena di innegabili squilibri – potrebbe compiere una scommessa pericolosa per le casse di City Hall. Infatti, nella Grande Mela, dall’1% dei residenti che guadagnano di più arriva quasi il 50% del gettito fiscale generato dalle imposte sul reddito; penalizzare oltremodo tale segmento della popolazione potrebbe avere dunque qualche controindicazione. Ancora più preoccupante è il metodo di intervento propugnato da Mamdani: «Dimostreremo che non esiste problema troppo grande perché il governo non possa risolverlo – ha detto - né preoccupazione troppo piccola perché non se ne prenda cura». Un approccio che sembra riservare un ruolo ancillare alla persona, all’impresa e al terzo settore, per esempio, in nome di un pregiudizio stato-centrico.

Infine, se è vero che la città di New York è da tempo un caso (politico) a sé, il voto per Mamdani può assumere una qualche rilevanza nazionale se considerato assieme al risultato negli Stati di Virginia (8,8 milioni di abitanti) e New Jersey (9,5 milioni). Anche qui hanno vinto due candidate democratiche, Abigail Spanberger e Mikie Sherrill, appartenenti all’ala più centrista e riformista del Partito e non invece a quella «socialista democratica» di Mamdani. Finché i Democratici riusciranno a far coabitare queste due anime, potranno impensierire – o battere, come stavolta - il campo repubblicano guidato da Trump. Quando saranno costretti a scegliere tra le due, o qualora l’ala socialista emergente dovesse prevalere ai danni dell’altra, allora il perimetro del Partito democratico rischia di tornare a restringersi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA