L’avvio della legislatura mostra fragilità

È cominciata male per la maggioranza, ma anche per l’opposizione. L’elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato è avvenuta provocando una spaccatura nella maggioranza e una nell’opposizione: brutto segno, per una legislatura che comincia. Ma vediamo prima i fatti. Un Berlusconi furioso per come si sta chiudendo la trattativa sulla composizione del governo decide di non votare il candidato di Giorgia Meloni alla seconda carica dello Stato.

Protesta per l’esclusione della sua fedelissima Licia Ronzulli, dalla compagine ministeriale: «Non accettiamo veti personali», dice il leader che per reagire al rifiuto di Giorgia Meloni di accettare quel nome, decide di far mancare l’appoggio a La Russa, candidato della coalizione alla seconda carica dello Stato, che, sulla carta, doveva dunque essere bocciato. E invece a sorpresa La Russa ce la fa: passa grazie a una quindicina di voti segreti attribuibili tutti all’opposizione. Già, ma chi, dell’opposizione? Scatta la caccia al «traditore». Renzi, sospettato numero uno, smentisce; Franceschini, numero due, smentisce; i Cinque stelle contiani, numero tre, nemmeno smentiscono.

In termini di tattica parlamentare, abbiamo così assistito ad una tremenda prova di incapacità dell’opposizione, che non ha saputo approfittare di un guaio della maggioranza. Se La Russa non fosse stato eletto per mano di Berlusconi, voi vi immaginate quale sarebbe stato il titolo di tutti i giornali: «Giorgia parte male; l’opposizione accusa: destra a pezzi non in grado di governare». E invece Letta, Renzi, Calenda, Conte - divisi ora come in campagna elettorale - hanno fatto autogol anche se non è chiaro per mano di chi. Chi scrive propende, più che ad una manovra concertata di un singolo partito, per la furberia di qualcuno che ha fatto una trattativa personale per ottenere una poltroncina di consolazione dalla maggioranza (le commissioni, le vicepresidenze d’aula, ecc.). Sia come sia, uno scivolone.

Ora, intendiamoci, di scene di questo genere, nelle diciannove legislature che ci stanno alle spalle, ne abbiamo viste a iosa: c’è poco da scandalizzarsi. Quando c’è da dividere i posti, non si guarda in faccia a nessuno. Ma il punto è un altro.

Ieri Liliana Segre e Ignazio la Russa hanno fatto due discorsi all’altezza della situazione: hanno scelto le parole giuste sia per il motivo simbolico del passaggio di consegne e di pacificazione tra una donna perseguitata dal nazi-fascismo e un militante della destra missina che fu erede di Salò e che oggi esibisce la sua evoluzione; sia per l’esortazione di entrambi perché il Parlamento sia all’altezza delle enormi sfide che, insieme al governo prossimo venturo, dovrà affrontare. La senatrice a vita e il neo presidente del Senato hanno fatto bene la loro parte: la risposta però è stata una dimostrazione di fragilità sia da parte di chi ha vinto le elezioni, sia di chi le ha perse. E questo, con i problemi che abbiamo, certo non ci rassicura.

Ora vedremo come queste divisioni del centrodestra si riverbereranno prima sulla elezione del presidente della Camera sia sulla compilazione della squadra dei ministri (che, data per chiusa e insoddisfacente da Berlusconi, ora si sarà riaperta). E vedremo presto se l’opposizione imparerà a fare il proprio mestiere o si dedicherà soprattutto alle lotte intestine. Il Paese ha bisogno degli uni e degli altri. Speriamo che non se lo dimentichino troppo facilmente: certamente Mattarella sarà lì pronto a vigilare sul comune senso di responsabilità che dovrà essere manifestato nello stesso spirito espresso con bellissime parole da Liliana Segre nel suo indirizzo di saluto ai nuovi senatori.

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