Le ambizioni della Cina, l’Occidente necessario

Il commento. Ma quanto ci si potrà fidare ancora in futuro di questa Cina? La domanda senza una risposta sicura circola nelle «stanze dei bottoni» della comunità internazionale. Viso gonfio e inespressivo, zero emozioni nel tripudio del Congresso nazionale del popolo, Xi Jinping ha così ottenuto uno storico terzo mandato da presidente.

Nel recente passato mai nessun altro leader cinese era stato tanto longevo politicamente; per evitare certi «personalismi», dopo due mandati si veniva pensionati. Oggi Xi detiene le tre massime cariche dello Stato: oltre alla presidenziale anche quelle di segretario del Partito comunista e di capo della Commissione militare centrale. In sostanza, è senza contrappesi. A momenti nemmeno il «timoniere» Mao Zedong era stato così potente. Xi Jinping vorrà ora «fare la storia» come Vladimir Putin e si lancerà nella «riunificazione» del Paese? A tale scopo sommerà le sue forze con quelle del capo del Cremlino, anche con l’obiettivo di far saltare il banco, ossia la supremazia occidentale nel mondo? L’unica cosa certa, per ora, è che il progetto di Bill Clinton di democratizzare la Cina, facendola partecipare da protagonista alla globalizzazione, è fallito. Più o meno la stessa cosa, ma con altre dinamiche, è avvenuta anche con la Russia.

In Asia, da tempo, si serrano le fila: si sente il tifone avvicinarsi e si rafforzano gli ormeggi. Coreani e giapponesi si stanno sforzando di superare le dispute storiche riguardanti la «colonializzazione» della penisola da parte di Tokyo a partire dal 1910 e le atrocità della Seconda guerra mondiale. L’ultima novità - per uscire dal circolo vizioso che crea problemi politici ed economici ai due Paesi alleati Usa - è che il governo di Seul ha creato un fondo per compensare quanti furono costretti ai lavori forzati dal Sol levante. Contraria è stata la reazione della propria opinione pubblica; timide aperture giungono da Tokyo. Il Trattato bilaterale del 1965 sembrava aver chiuso la questione, che, invece, periodicamente si riapre o si acquieta. Come nel 2015, con il nodo sulle «donne di conforto» coreane, consegnate alla soldataglia giapponese durante il conflitto. Tra il 2018-19 le picche e ripicche reciproche hanno provocato addirittura scompensi alla catena di montaggio dell’industria tecnologica con ripercussioni sui mercati mondiali.

Tralasciando l’aspetto militare e la questione di Taiwan, al momento siamo lontani dall’uso della forza da parte di Xi. Il «contenimento» commerciale della Cina, invece, prosegue a marce forzate: Stati Uniti e Unione europea, ad esempio, stanno cercando fra loro un accordo sulle cosiddette «terre rare» e sui chips in funzione anti-Pechino. I cinesi, però, non stanno a guardare. Grazie ad una loro mediazione, iraniani e arabi sauditi hanno deciso di riallacciare le relazioni bilaterali troncate nel 2016 dopo l’esecuzione di un religioso sciita da parte di Riad. Tale successo diplomatico avviene a poche settimane dal summit Cina-Paesi arabi tra capi di Stato.

L’obiettivo di Xi Jinping è di garantirsi sicuri approvvigionamenti energetici anche perché, prima di ricevere il gas russo invenduto in Europa, ci vorranno anni. E chi le costruisce le condotte in mezzo alla Siberia? Ma attenzione: l’Occidente non commetterà con lui gli stessi errori fatti con Putin. Inoltre in presenza di dati demografici ed economici sorprendentemente negativi, Xi non dovrà dimenticarsi che i cinesi sono prima di tutto dei commercianti e non dei guerrieri. In conclusione, senza un’intesa con l’Occidente, addio al «secolo cinese». Xi se ne accorgerà presto.

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