L'Editoriale / Bergamo Città
Venerdì 05 Dicembre 2025
Le archistar e il futuro (possibile) di Bergamo
ITALIA. Il primo è stato il ticinese Mario Botta con la biblioteca Tiraboschi (e a pochi chilometri, a Seriate, c’è anche la sua chiesa dedicata a San Giovanni XXIII), poi la ribalta è andata al francese Jean Nouvel e al suo Kilometro Rosso, opera iconica come poche, un segno forte in un territorio altamente produttivo, lì a pochi passi dall’A4 l’autostrada più trafficata d’Europa.
Ha sempre fatto discutere (ma è solo positivo...) e resta comunque un elemento fortemente identitario della nostra contemporaneità. A pochi metri di distanza, quasi in continuità ma con un forte tratto distintivo, l’edificio realizzato da un altro grande nome dell’architettura , lo statunitense Richard Meier, per l’allora Italcementi, ora passato a Brembo, il «papà» del Kilometro Rosso di Nouvel.
Sono poche le città dalle dimensioni di Bergamo che possono vantare una così importante presenza di autentici maestri dell’architettura contemporanea, o archistar come va di moda definirle. E a breve si aggiungerà anche il contributo (pare entusiasta) del giapponese Tadao Ando, un altro grandissimo che si cimenterà con un’area complessa come quella dell’ex Reggiani destinata finalmente a vita nuova dopo una serie di passaggi a vuoto. E dove insistono, va ricordato, le architetture di quell’Alziro Bergonzo che ha lasciato importanti segni nella nostra città. Una sfida nella sfida per il maestro nipponico, noto per il suo minimalismo nelle linee e nella scelta dei materiali.
In realtà anche lo scomparso Arata Isozaki avrebbe voluto realizzare qualcosa a Bergamo, la nuova sede della Provincia sull’area di Porta Sud, fortemente voluta dall’amministrazione di Valerio Bettoni e subitaneamente affondata da quella successiva a guida leghista con Ettore Pirovano al timone. L’architetto giapponese nel 2009 aveva avuto la meglio su altri 110 concorrenti (alcuni di grande fama), un numero incredibile, 5 volte superiore a chi si era presentato per le opere dell’Expo 2015.
La tradizione architettonica locale
Insomma, Bergamo ha una certa qual sua attrattività, frutto di una indubbia tradizione che a livello locale in passato ha attinto a Vito Sonzogni, Giuseppe Gambirasio, Pino Pizzigoni, Walter Barbero, Baran Ciagà, Sergio Invernizzi e Giorgio Zenoni, solo per fare qualche nome. Ma la lista è ben più lunga e arriva anche ai giorni nostri. Non tutto è stato realizzato bene, qualche scelta ha fatto discutere (ma vale il discorso del Km Rosso, è nelle cose...), altre non hanno superato la prova del tempo, ma al tirar delle somme la nostra è una città che continua a mantenere nel complesso un accettabile livello architettonico, molto spesso buono. Ed è proprio per questo che va prestata la massima attenzione a interventi che da un lato sono meritori perché intervengono su aree degradate o abbandonate, dall’altro non giustificano colate di cemento a prescindere. Fermo restando che il discrimine non sono i metri cubi (almeno non solo) ma la qualità complessiva dell’intervento. A volte convincente (lo stadio è un esempio, la sua presenza alla mostra del Maxxi non era scontata né dovuta), altre oggettivamente meno.
Un nuovo punto di vista
L’auspicio è che la lungimiranza di chi decide di affidarsi a nomi di alto profilo serva a modello, poi si può discutere su tutto - possibilmente con un minimo di costrutto - ma la sfida della modernità passa anche dalla forza di una città, e di chi la vive, di attrarre la creatività e l’interesse di progettisti di primo piano, abituati a sfide di ben altra dimensione e a portare un nuovo punto di vista con il quale confrontarsi. Un futuro possibile, insomma, senza comunque un’accettazione a scatola chiusa per un supposto complesso d’inferiorità, questo sì che sarebbe davvero provinciale.
Allo stesso tempo non si deve però giocare in retroguardia a prescindere, barricati dietro un facile (ma sterile) conservatorismo di maniera. Un concetto che Maria Cristina Rodeschini e Giacinto Di Pietrantonio hanno sintetizzato mirabilmente in un passaggio della loro introduzione alla «Guida all’architettura di Bergamo», fondamentale testo per chi voglia farsi un’idea meno d’istinto e più ragionata dell’evoluzione della nostra città: «Potrebbe sembrare che i nuovi linguaggi non vi debbano essere ammessi per non turbare il meraviglioso equilibrio raggiunto nei secoli, ma questo non è vero, anzi diviene la misura necessaria di ogni confronto si stia cercando».
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