Le mire russe su media e cultura in Africa

MONDO. I sistemi russi di informazione sono tremendamente efficaci e sono una delle fondamenta del potere di Vladimir Putin. Le strategie, che essi utilizzano, hanno origine nella scienza sovietica per il controllo delle masse.

Di conseguenza, dopo la primavera 2014, montare le antenne della televisione federale è stato il primo pensiero di Mosca in Ucraina orientale. In Africa e in America latina si è, invece, preferito usare la radio e i trolls in Internet e sui social. Diversa è la situazione in Occidente. I Paesi del G7 hanno eretto «scudi» politici, legali e tecnici contro questa inquietante invasione mediatica. Diciamolo subito: qui non c’entra nulla la libertà di stampa o di parola. Anzi. Quella occidentale, hanno spiegato vari leader europei, è solo una risposta a chi sfrutta i pregi e i difetti di sistemi altrui per raggiungere obiettivi di tutt’altro genere, molto meno nobili, rispetto a quelli informativi.

Una domanda: ma se quel messaggio è veramente corretto e non ha secondi fini, perché in Russia i mass media nazionali dissenzienti non trasmettono più? Dopo il quinto attacco da maggio contro Mosca, raccontava martedì mattina la tivù di Stato: «un drone, messo fuori uso dalla Difesa elettronica federale, è caduto contro un grattacielo nel Distretto finanziario». Certo che quel grattacielo, dove hanno sede uffici di 7 ministeri, ha una bella sfortuna ad essere colpito per due volte di seguito in tre giorni! Di recente il presidente Putin ha sostenuto che è stato l’Occidente a provocare il conflitto in Ucraina e ora la Russia sta combattendo per evitare la Terza guerra mondiale.

Al forum di San Pietroburgo il capo del Cremlino ha chiesto agli africani di formare una rete di mass media allineati per garantire la creazione di quella base culturale che, fino al 1991, era regalata dall’ideologia comunista. Le linee guida, illustrate da Putin, sono il desiderio di costruire insieme un mondo multipolare - di fatto alternativo a quello occidentale - e la volontà di staccarsi finanziariamente dal predominio delle valute americana ed europea.

Non deve quindi sorprendere che nella manifestazione anti-neocolonialismo occidentale davanti all’ambasciata francese in Niger vi fossero persone che gridavano «viva Putin!» con bandiere russe in mano.

Contractors della Wagner, forniture di armi, soldi ben gestiti e tanta propaganda sono gli strumenti su cui il Cremlino poggia le sue speranze per ricalcare in Africa le orme sovietiche. Proprio quella propaganda dai messaggi in lingua locale, personalizzati ed elementari che fanno tanto breccia tra le masse più povere e meno istruite anche in America latina. Quelle masse, toccate poco dal benessere, che vedono nei complotti altrui una delle cause della loro indigenza.

Vladimir Putin vuole cavalcare quell’onda di malcontento latente, proponendo il suo mondo, più giusto, multipolare, in cui la Russia rimane una superpotenza. Che gli equilibri a livello internazionale da un paio di decenni stiano cambiando non è possibile negare: l’asse del mondo sta spostandosi dall’Atlantico all’Indopacifico. Mutamenti si registrano in campo demografico, economico e finanziario. Prima o poi l’Occidente - che oggi rappresenta il 10% della popolazione mondiale ma continua ad essere il centro delle innovazioni - dovrà ridiscutere il sistema di Bretton Woods, che ha assicurato la stabilità dopo il 1945.

Quel giorno servirà definire regole più condivise, soprattutto nel commercio, nella finanza e sul tema monetario. Non farlo significherebbe lasciare spazio a pericolose narrative fantasiose.

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