L’inflazione
e la geopolitica

«Inflazione significa essere povero con tanti soldi in tasca», diceva l’attore Ugo Tognazzi esprimendo con efficacia il sentire dell’uomo comune. Comprensibile, quindi, che lo scenario di un aumento incontrollato dei prezzi agiti i sonni di cittadini, imprese, economisti e Stati sovrani. Gli italiani, per esempio, hanno appena appreso che nei prossimi tre mesi la loro bolletta dell’elettricità aumenterà in media del 9,9% rispetto al trimestre precedente, quella del gas addirittura del 15,3%. Il rincaro sarebbe stato anche più salato se il Governo Draghi non fosse intervenuto con uno stanziamento taglia-bollette ad hoc. Senza contare che in media, rispetto a un anno fa, un pieno di benzina o gasolio costa una decina di euro in più a ciascuno di noi. I prezzi sono già fuori controllo, dunque? Non è così. Più che a un fenomeno generalizzato, assistiamo per ora a un incremento limitato ad alcuni beni, conseguenza dei prezzi record delle materie prime (oltre che dei permessi di emissione di CO2).

Prima dei cittadini, se ne erano accorte le imprese in cerca di approvvigionamenti energetici: in Italia le forniture di gas non erano così care da 13 anni e il Prezzo unico nazionale dell’elettricità ha superato i 100 euro/MWh per la prima volta da tre anni (Sole 24 Ore); le quotazioni del petrolio Brent sono lievitate dell’80% in 12 mesi. Era scontato che, prima o poi, i consumatori avrebbero dovuto sostenere almeno in parte un aumento dei prezzi «alla fonte». In media, comunque, il tasso d’inflazione nell’Eurozona a giugno è pari a 1,9%, per effetto dei prezzi molto più «freddi» di beni industriali non energetici, servizi, generi alimentari.

Cosa accadrà nei prossimi mesi? Il dibattito tra gli economisti è aperto. Negli Stati Uniti, dove ripresa e aumento dei prezzi sono più sostenuti, pensatori come John B. Taylor dell’Università di Stanford accusano la Banca centrale di alimentare una bolla inflazionistica con le sue politiche ultra-espansive, come accadde negli anni ’70. La maggioranza degli osservatori, però, crede che l’incremento selettivo dei prezzi rientrerà nel giro di qualche mese, quando il boom di domanda di materie prime post-pandemia si placherà e l’offerta si sarà adeguata alla nuova situazione.

In Europa il dibattito di idee rischia di assumere contorni diplomatici e geopolitici, come accadde durante la crisi del debito. La Banca centrale europea, infatti, sta rivedendo in queste settimane la propria strategia monetaria. Tra i dossier in discussione oggi in un Consiglio direttivo a Francoforte, c’è proprio la revisione dell’obiettivo numerico di stabilità monetaria, che attualmente coincide con un tasso di inflazione che deve essere «inferiore, ma vicino, al 2%». Jens Weidmann, governatore della Banca centrale tedesca, ritiene che tale target d’inflazione debba rimanere inalterato. Lo animano un atteggiamento critico verso la strategia americana dell’«average inflation targeting», la convinzione che il banchiere centrale come un novello Ulisse debba legarsi all’albero della nave – ha detto di recente - per non cedere a Sirene (politiche) di vario tipo, il timore che i tassi troppo bassi stiano depredando i risparmiatori tedeschi, e infine la paura atavica dell’iperinflazione che è diffusa in Germania. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, la pensa quasi all’opposto: per lui l’obiettivo inflazionistico della Bce dovrebbe essere fissato al 2%, eliminando le attuali specificazioni che possono essere fraintese da famiglie e aziende, e «con una valutazione simmetrica degli scostamenti verso l’alto e verso il basso». Insomma aprendo a un periodo di inflazione superiore all’obiettivo del 2% (overshooting) quando si viene da anni di inflazione inferiore al target. Non è una semplice riedizione del derby «formiche vs. cicale», visto che con Visco concordano – fra gli altri – il capoeconomista della Bce, l’irlandese Philip Lane, e il banchiere centrale finlandese Olli Rehn. Né la questione è puramente tecnica. Infatti, se la Bce decidesse di darsi obiettivi più «americani» e flessibili in termini di inflazione, le attuali politiche monetarie straordinarie a sostegno dell’economia potrebbero durare più a lungo. E un Pil nominale un po’ «gonfiato» dall’inflazione renderebbe meno gravoso l’aggiustamento fiscale che dovrà necessariamente seguire la fase odierna di indebitamento record.

© RIPRODUZIONE RISERVATA