L’ombra del virus
sul caos libico

Mentre l’attenzione dell’Europa è giustamente tutta concentrata sulla pandemia di coronavirus, a sud del continente un conflitto marcisce in una guerra senza quartiere. Da quando il 17 gennaio 2019 il generale Khalifa Haftar (appoggiato da Arabia Saudita, Egitto, Emirati e ultimamente Russia) con le sue truppe ha deciso di sferrare l’attacco al governo legittimo di Tripoli guidato Fayez al Serraj (sostenuto dal Qatar ma soprattutto ora dalla Turchia), i combattimenti sono scivolati su un piano inclinato del quale non si intravede la fine. Al punto che nello scorso marzo l’ex ministro libanese Ghassan Salamè si è dimesso dall’incarico di inviato dell’Onu per mediare tra le parti, ufficialmente per motivi di salute e stress ma ufficiosamente per i doppi giochi e le manovre a tradimento che gli attori interessati alla «quarta sponda» stanno conducendo sulla pelle del Paese nordafricano.

Salamè non è stato ancora sostituito, una latitanza che la dice lunga sulla difficoltà (e forse inutilità) della posizione. Dal 4 aprile 2019 Haftar ha lanciato le sue soldataglie all’assedio di Tripoli e dei suoi tre milioni di abitanti. Di recente ha bombardato il mercato del pesce in una zona trafficata e per tre volte in una settimana l’ospedale di Al Kadra, scelto come presidio coronavirus qualora la pandemia dovesse propagarsi anche in Libia. Si è divertito pure a togliere l’acqua alla città. Da quando la capitale è sotto assedio, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità sono state uccise oltre mille persone e 120 mila costrette a lasciare le loro case. Un’escalation che ha spinto Serraj a dichiarare morto ogni negoziato, compreso quello avviato nella conferenza di Berlino, sul quale l’Europa aveva riposto molte speranze.

Il generale che vuole diventare il nuovo Gheddafi, dittatore che tiene insieme il Paese di clan e tribù con la forza, il 17 gennaio scorso aveva fatto chiudere tutti pozzi di petrolio. Il blocco sta generando una perdita alle casse statali di 4 miliardi di dollari, a fronte di un Pil annuo di 56,3 miliardi. Il 13 aprile scorso il governo legittimo si è preso però una rivincita, quando le sue milizie hanno sferrato un attacco conquistando la città di Sabrata, celebre per il suo teatro romano, e tutte le località in mano ad Haftar lungo la costa occidentale fino al confine con la Tunisia, da dove partono molte delle imbarcazioni con migranti dirette in Europa. Decisivi per il successo la consulenza e gli armamenti forniti dalla Turchia.

Ma Haftar non è il cattivo e Serraj il buono. Il presidente legittimo combatte su tre fronti (a ovest e a sud della capitale e a Misurata) e ha fatto liberare dalle carceri di Tripoli Ahmad Dabbashi, detto «lo zio», un contrabbandiere di petrolio e armi proprio di Sabrata, arricchitosi come trafficante di uomini e incredibilmente assoldato in passato dall’Italia per fermare i migranti, ricercato dall’Onu che denuncia come effetti della guerra in questi giorni «profanazione di corpi, saccheggi, rapine e incendi di proprietà private». In questo quadro devastato, sono riprese le partenze dei gommoni dei trafficanti. In una sola settimana, dal 5 all’11 aprile, oltre mille persone su più di 20 barche hanno lasciato la costa libica. Italia, Malta e la stessa Libia hanno deciso di chiudere i porti in entrata per l’emergenza coronavirus. In mare sono quasi scomparse le navi di salvataggio. A metà della scorsa settimana un’imbarcazione con 66 persone a bordo, già in acque maltesi, è stata soccorsa, solo 40 ore dopo aver lanciato la richiesta d’aiuto, dalle Forze armate di Malta che hanno tentato di tagliare il cavo del motore: «Vi lasciamo morire in acqua, nessuno raggiungerà la nostra isola» è stata la minaccia. La Libia mantiene la sua posizione di ricatto sul dossier migranti, chiedendo all’Italia più soldi per addestrare la sua Guardia costiera (oggi incassa 50 milioni di dollari all’anno) infiltratata dai trafficanti.

L’esito della guerra è imprevedibile: le due potenze principali sponsor di Haftar e Serraj, Russia e Turchia, hanno interessi e ambizioni anche in Europa. Le avremo alle porte di casa. Intanto non si ha più notizia di centinaia di migranti intercettati dalla Guardia costiera libica e riportati a terra, nonostante il blocco. Da anni sono trattati da schiavi e non da persone. Questo accade a sud di Lampedusa, approfittando della latitanza della comunità internazionale, adesso pure impegnata sul fronte coronavirus.

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