l’Ucraina sul baratro
e l’Europa alla finestra

Il presidente Zelensky, il premier Shmygal, il ministro degli Esteri Kuleba, il segretario del Consiglio di Sicurezza Danilov, tutti i ministri di primo piano. La dirigenza dell’Ucraina è compatta, da settimane, nel cercare di ridimensionare gli allarmi sull’invasione russa che ogni giorno, e con toni sempre più allarmati, partono soprattutto dagli Stati Uniti. E non è difficile capire perché. Ormai più di 30 Paesi hanno ritirato i propri diplomatici e consigliato ai concittadini di lasciare l’Ucraina o di non entrarci. Nelle prossime ore potrebbe essere chiuso ai voli civili, per prudenza, lo spazio aereo ucraino. La cappa di paura provoca la fuga degli oligarchi (all’aeroporto di Kiev sono stati già contati venti decolli di jet privati), dei loro capitali e dei capitali degli investitori stranieri (già 12,5 miliardi di dollari dileguati, secondo dati offerti dallo stesso Zelensky). La hrivna, la valuta ucraina, si deprezza di giorno in giorno.

I buoni del Tesoro ucraino sono sempre meno richiesti, i grandi creditori fibrillano e i possibili finanziatori istituzionali si ritirano. Il commercio transfrontaliero rallenta. Si aprono altre falle nella già fragile economia dell’Ucraina, che lotta con quella della Moldavia per il «titolo» di Paese più povero d’Europa.

Detto altrimenti, anche solo parlare dell’invasione, come si fa ormai da più di tre mesi, rischia di far saltare l’Ucraina. Questo ci aiuta a tramutare le troppe parole in pensieri più concreti. Solo qualche esempio: tutte le principali Borse europee in questi giorni chiudono al ribasso. Ieri, alla riapertura delle contrattazioni, il prezzo del gas è schizzato in alto del 13% e quello del petrolio Brent è salito oltre i 95 dollari a barile, come non accadeva da anni. L’Italia, come in generale l’Europa, importa dalla Russia il 40% circa del gas che consuma: abbiamo idea di quel che succederebbe alle bollette delle famiglie e ai bilanci delle aziende se dovessimo chiudere le relazioni commerciali con la Russia? Ci rendiamo conto che l’Europa dei Recovery Plan e della crisi da Covid sta già adesso bruciando un mare di denaro che servirebbe a ben altro?

Demonizzare Vladimir Putin e la sua politica o, dall’altro lato, criticare le smanie imperiali degli Usa in questo momento serve più che altro a sfogarsi. Bisogna invece prendere atto di due realtà su cui, in qualche modo, si potrebbe intervenire. La prima è che tutti i conflitti, oggi, vengono combattuti in casa d’altri. Nel caso di quello tra la Russia e gli Usa, il campo di battaglia sarebbero l’Ucraina e l’Europa, come in precedenza lo sono stati la Siria e la Libia. Di certo, il peso di un eventuale conflitto non sarebbe equamente diviso tra Usa e Ue ma ricadrebbe in gran parte su di noi europei. E qui arriva la seconda realtà: per l’ennesima volta la Ue non riesce a esprimere una linea politica purchessia, men che meno una che riesca a tenere insieme la fedeltà alle alleanze (in questo caso la Nato) e la difesa degli interessi e della sicurezza di una comunità di 450 milioni di persone, quanti sono appunto gli abitanti della Ue.

La presidentessa della Commissione europea Von der Leyen? Assente. La nuova presidentessa del Parlamento Europeo Metsola? Chi l’ha vista. L’Alto Commissario per la politica estera e di difesa Borrell? Boh. Putin (dichiaratamente) e Biden (di fatto) non parlano con l’Europa ma con i leader dei singoli Stati: gli Scholz, i Macron, i Draghi e così via. Eppure questo sarebbe proprio il momento dell’Europa: per non farsi fare una guerra in casa e per affermare quei valori di pace e dialogo tra le nazioni che sono alla base della sua esistenza.

Rimpianti a parte, restano i timori. Questa tensione, già distruttiva, sfocerà in guerra aperta? Nelle ore in cui scriviamo spunta qualche segnale di distensione. Il ministro degli Esteri Lavrov apre a più approfondite e chiare negoziazioni, il cancelliere tedesco Scholz smina in parte il terreno escludendo un prossimo ingresso dell’Ucraina nella Nato, le truppe russe si muovono meno. L’invasione in quanto tale era ben poco probabile, la Russia non è così potente da poter occupare un Paese vasto due volte l’Italia. Ma altri scenari, meno disastrosi ma non meno nocivi, erano e restano possibili. Per esempio la ripetizione in altro terreno del colpo di mano del 2014, quando la Russia si riprese la Crimea e le Repubbliche filorusse presero il controllo del Donbass, un colpo che spaccherebbe in due l’Ucraina. Restiamo convinti, a costo di parere ingenui, che chi può stia lavorando per renderli impossibili.

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