Maastricht, il trattato
azzoppato dagli egoismi

Il 7 febbraio 1992 Giulio Andreotti e l’allora ministro del Tesoro Guido Carli firmano per l’Italia il Trattato di Maastricht. Trent’anni dopo nella memoria collettiva sono rimasti solo i tre punti cardinali della politica economica comune: 60% del debito pubblico, 3% del deficit annuale, 2% del tasso di inflazione. All’alba del 2022 non ve n’è uno rispettato. Chi inizia il balletto delle trasgressioni è nel 2003 il tedesco Gerhard Schröder unito al suo sodale Jacques-René Chirac all’Eliseo. Berlino deve sostenere i costi sociali della ristrutturazione economica, Parigi come al solito deve coprire l’eterno buco della spesa pubblica. Il governo Berlusconi guarda e non si impunta. Se i primi della classe rompono il patto anche la truppa in futuro ne avrà di vantaggio. È qui che nasce la trasmutazione dell’ideale in realpolitik. L’Europa da allora si è trasformata in un forum dove ognuno persegue le proprie convenienze.

Al concetto di comunità si è lentamente sostituito quello di interesse nazionale. In una struttura che è diventata asimmetrica ogni Stato pesa per la sua forza contrattuale ed è quindi più facile per chi è forte far valere le proprie ragioni. Il trattato di Maastricht ha segnato punti di rilevanza strategica e posto le basi per una «nuova fase del processo di creazione di un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa». Si decide di istituire una politica estera e di sicurezza comune, di introdurre i controlli esterni alle frontiere, di creare un ufficio per lo scambio di informazioni tra le forze di polizia e anche di sviluppare una politica comune in materia di asilo.

Tutti obiettivi encomiabili ma che si infrangono sugli egoismi nazionali. Basti pensare alla politica di asilo per capire come per l’Italia il tutto suoni come una beffa. I governi italiani chiedono regolarmente l’istituzione di una polizia di frontiera europea che tuteli gli accessi al continente e si sentono rispondere che non è compito degli altri Stati tutelare i confini nazionali dei singoli Stati membri. Salvo poi l’impegno umanitario di farsi carico dell’accoglienza e integrazione di migranti che approdano sulle coste italiane non per restare. Il loro obiettivo è infatti raggiungere il Centro Europa. Le informazioni delle singole polizie sono ancora in pugno ai singoli Stati al punto che nel recente accordo del Quirinale con la Francia si ribadisce ancora la necessità di integrare informazioni dei servizi di sicurezza. Il problema è la sovranità e nessuno si fida del vicino. Quindi si proclamano ideali e poi all’atto pratico ci si tira indietro.

La moneta unica che è seguita agli accordi di Maastricht è nata per mettere sotto controllo la Germania. È stato il prezzo che il cancelliere Helmut Kohl ha dovuto pagare per ottenere il via libera alla riunificazione tedesca del 1990. Va ricordato che la D-Mark è il simbolo della rinascita tedesca e l’espressione della sua forza economica. Una rinuncia non a cuor leggero. I criteri poi definiti stupidi dall’allora capo del governo italiano Romano Prodi nascono per rassicurare la Germania timorosa di doversi far carico del debito altrui. Ma ciò che François Mitterrand e Margaret Thatcher speravano di ottenere si è rivoltato contro gli interessi dei loro Stati e la supremazia tedesca non ha tardato a farsi sentire. Al punto da indurre la Gran Bretagna a uscire dall’Unione Europea. Uno dei 12 firmatari del 1992 si è quindi ritratto. Sarebbe errato seguirne l’esempio anche perché Londra da sempre persegue l’obiettivo di dividere il continente L’Unione Europea ha trasformato un territorio di guerre secolari in luogo di pace. Guai però a credere che la lotta sia finita. Si combatte ancora. Solo con altre armi, quelle della politica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA