Maggioranza in affanno tra elezioni e sgambetti

ITALIA. Sono giornate nelle quali un ministro di Fratelli d’Italia, Luca Ciriani, accusa le opposizioni di incitare all’odio usando un linguaggio che ricorderebbe gli anni ’70 e le Brigate Rosse, e in cui Matteo Renzi ne chiede le dimissioni dal governo alla presidente del Consiglio.

La quale però, a sua volta, proclama che non si farà intimidire da quanti (a sinistra, si immagina) non solo gioiscono per l’omicidio dell’attivista trumpiano Charles Kirk ma annunciano altri ne seguiranno la sorte. Insomma, sono giornate di grande nervosismo: anche un uomo pacato e misurato come Antonio Tajani è andato su tutte le furie per essere stato paragonato agli «influencer prezzolati di Israele» da una deputata del M5S.

Però è lo stesso ministro degli Esteri che esorta ad occuparsi dei serissimi problemi che abbiamo davanti piuttosto di quello che Berlusconi un tempo chiamava il «teatrino della politica». E sicuramente Tajani ha le sue ragioni per lamentarsi, dal momento che la maggioranza non è riuscita a stendere uno straccio di mozione comune sul tema delle spese per la difesa che vanno aumentate (decisione che peraltro il governo si è già impegnato in sede internazionale a rispettare) nonostante le contorsioni dei partiti, di centrodestra, Lega contro tutti, e di centrosinistra, ognuno per conto proprio. Ma c’è da aggiungere che il centrodestra ancora non riesce a partorire i candidati per le regioni che prossimamente andranno al voto.

Da settimane i giornalisti annunciano la data di un vertice tra i leader che regolarmente non si tiene o viene rinviato per una ragione o per l’altra. Il fatto è che non c’è ancora l’accordo né sulla logica della spartizione né sui nomi. Ma almeno sembra che si sia deciso di far votare pugliesi, veneti e campani in un unico «election day» che dovrebbe essere il 23 novembre, abbastanza in là sul calendario ma neanche tanto pensando alla campagna elettorale. Dunque, gli ultimi spifferi che escono dai retrobottega dei partiti di governo dicono che in Campania ci dovrebbe essere un candidato di Fratelli d’Italia, e in Puglia uno di Forza Italia.

Ma il problema vero, il pasticciaccio insomma, riguarda ancora il Veneto: lì non la sta spuntando nessuno. Fratelli d’Italia non demorde e chiede per sé, ossia per il partito di maggioranza relativa, quella poltrona arcisicura di una regione strategica; la Lega però resiste con il suo Alberto Stefani e rifiuta di barattare Venezia con Milano per la ragione che in Lombardia si voterà tra tre anni e chissà cosa potrà succedere da oggi ad allora. C’è sempre poi il rischio che i leghisti veneti possano correre da soli potendo contare sul vasto giacimento elettorale di cui il loro leader Luca Zaia dispone.

Insomma, la confusione è grande sotto il cielo, al punto che forse a Napoli, per il partito di Giorgia Meloni, potrebbe correre il prefetto della città che, secondo indiscrezioni, si sarebbe già messo in aspettativa elettorale. Voci, indiscrezioni, ballon d’essai lanciati per distrarre. Quello che è importante è il numero dei dossier sui quali la maggioranza si trova in difficoltà con se stessa. È vero che il centrodestra ha sempre dimostrato di essere in grado di ricompattarsi quando si tratta di andare a cercare voti per la ditta, ma è anche vero che la premier da qui alle elezioni del 2027 vorrebbe varare almeno la riforma del premierato e quella della legge elettorale, temi su cui i partiti sono sensibilissimi trattandosi della loro stessa esistenza.

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