Meloni, governo politico. I provvedimenti diranno di quale destra si tratta

Ad uno sguardo superficiale il cambio di guardia alla guida del governo può sembrare un normale passaggio delle consegne tra una maggioranza franata e un’opposizione premiata dalle urne.

Si tratterebbe, insomma, di una semplice rotazione di responsabilità secondo l’aurea legge di una sana democrazia dell’alternanza.Le cose non sono andate esattamente così. Innanzitutto, il premier uscente non è stato dimissionato. Quando si è ritirato, godeva ancora di un’ampia maggioranza. Si è fatto da parte semplicemente perché non ha ritenuto di poter proseguire il suo lavoro con una maggioranza diversa da quella che l’aveva investito. In altre parole, la crisi di governo non si è aperta per un voto di sfiducia che ha visto l’opposizione premiata. Anzi, il partito della (o, per allinearci al politicamente corretto, di) Meloni avrebbe plausibilmente preferito che la legislatura giungesse al suo termine naturale per non esser costretta a iniziare il suo lavoro con il peso di emergenze da brivido.

Il partito di Giorgia Meloni non ha combattuto, inoltre, convintamente il governo Draghi fino ad ottenerne la caduta. Anzi, soprattutto nell’ultimo scorcio di legislatura ha assunto un atteggiamento persino più responsabile di altri partner della maggioranza. Non ha lesinato in particolare il suo sostegno all’ex presidente della Bce quando ha ritenuto che fossero in gioco interessi vitali del Paese. Nello specifico, ha evitato che Draghi si trovasse in difficoltà sul tema più caldo del momento: l’invio di armi all’Ucraina. Infine, Meloni, una volta entrata a Palazzo Chigi, si è ben guardata dal ribaltare l’impostazione del programma di governo del suo predecessore. Si è dimostrata molto più in sintonia con lui dei precedenti alleati del suo governo (5 Stelle, Lega, Forza Italia). A completare l’opera, la leader di Fratelli d’Italia ha mostrato di apprezzare l’impostazione data al tema dell’energia da Draghi, chiamando a collaborare il suo ministro Roberto Cingolani.

Più che di alternanza, ci sembra perciò più appropriato parlare di successione. Di una successione, comunque, con ampio beneficio d’inventario. Meloni, consapevole di esser arrivata a responsabilità di governo con un alto deficit di credibilità internazionale (di Stati e mercati), si è messa prontamente sulla scia dell’apprezzato predecessore per sgombrare il campo da ogni motivo di diffidenza nutrita nei suoi confronti. Non per questo si è appiattita politicamente sul governo delle larghe intese, che aveva combattuto senza infingimenti sin dall’inizio. Ha approfittato della - chiamiamola - copertura di Draghi per lanciare il suo disegno di lungo periodo, che non si può dire certo sia in linea con quello del predecessore. Aveva garantito che il suo sarebbe stato un governo politico come nessun altro e ha mantenuto la promessa. Non è alla composizione dell’esecutivo che bisogna guardare (sono numerosi qui i «tecnici») ma al respiro politico della svolta che ha annunciato. Il discorso, con cui ha presentato il nuovo governo alla Camere, sarà stato pur generico sulle misure che intende adottare, non certo sulla caratterizzazione di destra. Aspettiamo ora dalla sua azione di capire di quale destra si tratta.

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