Meloni ha fretta, gli alleati meno

Il commento. Giorgia Meloni ha colto l’occasione della sua missione in Algeria per tornare sul «caso Nordio» e mettere i puntini sulle i in materia di giustizia. Che significa: primo, che la riforma delle intercettazioni e della amministrazione giudiziaria è un punto cui il governo non rinuncia perché parte costitutiva del suo programma elettorale. Secondo, che queste riforme vanno fatte «con buonsenso», cioè senza cercare l’ennesimo scontro tra la politica e la magistratura di cui già si vedono i prodromi, con tanto di schieramenti contrapposti, polemiche velenose e giornali che fanno il tifo da una parte e dall’altra

Terzo, che queste riforme non devono essere strumentalizzate per lo scontro politico che, anche se Meloni non lo ha detto esplicitamente, si sta accendendo soprattutto dentro la maggioranza piuttosto che con una debole opposizione. In questo contesto, è la conclusione, la fiducia verso il ministro guardasigilli Nordio è intatta e non messa in discussione dalla presidente del Consiglio.

Tanto basta, come già qualcuno scrive, per dire che «Meloni frena Nordio»? No, piuttosto Meloni si è resa conto che in questo momento di mille difficoltà di tutto ha bisogno tranne che di andare a battagliare con i giudici e il partito giustizialista che non aspetta altro che scagliarsi lancia in resta contro «la destra che protegge i colletti bianchi corrotti e per questo limita i poteri della magistratura e quelli della libera stampa».

Inoltre Meloni non vuole attizzare il medesimo scontro tra giustizialisti e garantisti tra i partiti di centrodestra, anch’essi pronti a schierarsi magari con il segreto intento di creare l’ennesimo problema all’inquilina di Palazzo Chigi di cui mal si digerisce la tendenza a decidere abbastanza in solitudine. Del resto proprio in solitudine dovrà dirimere la querelle che al ministero della Giustizia si va sviluppando proprio tra Nordio e il suo sottosegretario Delmastro, entrambi eletti nelle fila di Fratelli d’Italia ma su posizioni abbastanza divergenti. Anche nel partito della premier le due posizioni si agitano da sempre. «Io le cose che penso le scrivo da ventincinque anni» ha detto Nordio, «nessuno può dire che non le conoscesse prima del mio ingresso al governo». Parole rivolte ai suoi sodali che provocano gli applausi del Terzo Polo che, a loro volta, suscitano sospetti nella maggioranza.

Fastidi per Giorgia Meloni che ieri avrebbe voluto che nulla oscurasse l’importante incontro ad Algeri con quello che è diventato il nostro primo fornitore di gas e con il quale abbiamo firmato un nuovo accordo che, implementando il gettito del gasdotto Transmed fino a Mazara del Vallo, contribuirà – ha detto l’amministratore delegato dell’Eni Descalzi – a renderci autonomi dal metano russo entro l’inverno 2024-25. Insomma, Meloni non avrebbe voluto che le polemiche rovinassero la festa come è successo con l’arresto di Messina Denaro, avvelenato da dietrologie, sospetti, insinuazioni volte a ridimensionare il successo dello Stato nell’assicurare alla giustizia l’ultimo dei padrini corleonesi. Anzi, proprio dall’uso delle intercettazioni nelle inchieste di mafia è partita la polemica sulle intercettazioni di cui secondo Nordio si sarebbe fatto un abuso finendo per violare la privacy e l’integrità di cittadini rivelatisi del tutto estranei alle indagini.

Troncare queste polemiche è l’intenzione di Palazzo Chigi che vuole accelerare sul programma, anzi ai ministri è stato chiesto di presentarsi con una scaletta dei tempi di attuazione delle varie misure per tutto il 2023. Peccato che ai primi posti di questo «crono-programma» ci sia la riforma dell’autonomia differenziata scritta dal ministro Calderoli che sta suscitando non poche riserve in Forza Italia e in Fratelli d’Italia, al punto che gira voce che l’esame del testo, previsto per il prossimo Consiglio dei ministri, potrebbe subire uno «crono-slittamento».

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