Mercosur se la politica dimentica i consumatori

MONDO. Mercosur, questo sconosciuto. Eppure, se ne parla da ben 25 anni e addirittura c’è già l’accordo sul contenuto dal 2024. Manca la firma, ma nell’ultimo vertice di Bruxelles, Macron e Meloni, una volta tanto d’accordo, hanno ottenuto uno slittamento ulteriore di un mese.

È un trattato commerciale di libero scambio tra Europa e i principali Paesi del Sud America, che riduce le barriere tariffarie e non tariffarie creando la più grande zona di mercato libero al mondo, con oltre 700 milioni di consumatori. Faciliterà le esportazioni e l’Italia sarà sicuramente la maggior beneficiaria di questa svolta. Dopo la gran confusione introdotta da Trump in materia di dazi, usati come una clava per minacciare il mondo, è un’occasione per dimostrare che il mondo stesso è più grande dell’impero di The Donald, e un’economia dinamica e flessibile come quella italiana è in grado di sfondare ovunque, aggirando il nevrotico sovranismo Usa. Con ricadute geopolitiche importanti, come il rafforzamento dei rapporti con il Brasile, contrastando le sirene di Pechino e Mosca.

Le previsioni economiche

Mercosur prevede che il blocco sudamericano liberalizzi il 90% delle importazioni industriali europee e il 93% di quelle agricole, cancellando dazi che oggi valgono il 35% sui ricambi auto, il 20% sui macchinari, 18% sulla chimica, 14% sulla farmaceutica. Mercosur vale oggi 14 miliardi per l’Italia e a livello Ue le esportazioni di beni e servizi aumenterebbero di 25 miliardi e dentro quel dato la principale beneficiaria sarebbe appunto l’Italia, che vedrebbe tra l’altro il riconoscimento di 50 prodotti tipici, con la difesa dalle imitazioni e contraffazioni del made in Italy. Sembra insomma un panorama di cose positive e utili, e si fa fatica a comprendere perché la cosa non si chiuda addirittura tra gli applausi. Per capirlo, bisogna sapere che settimana scorsa a Bruxelles centinaia di agricoltori hanno rovesciato letame all’ingresso dei Palazzi europei per protesta, ottenendo per l’appunto l’ennesimo rinvio. E allora qui passiamo dalle valutazioni tecniche ed economiche a quelle politiche. Come mai due soggetti tanto diversi tra loro, come il liberale Macron e la nazionalista Meloni vanno d’accordo sul rinvio continuo della firma? È la politica, signori, oltre che ovviamente alle solite difficoltà che l’applicazione di criteri liberali come concorrenza e libero mercato provocano inevitabilmente perché qualche scomodità tocca frange, minori ma agguerrite, che preferiscono la protezione al confronto.

In campo agricolo, cadrebbe il 15% di dazi che l’Ue oppone ai Paesi del Mercosur, e i settori agricoli più fragili temono la diminuzione dei prezzi (inesorabile quando la concorrenza agisce) e inalberano allora l’obiezione circa la qualità degli standard, che in Sud America non sono rigorosi come in Ue. È lo stesso ostruzionismo fatto per l’accordo con il Canada. Giustissimo, dobbiamo tutelare qualità e salute, ci mancherebbe. Ma in questo gli europei sono maestri nel mondo, e comunque l’accordo - dopo 25 anni di trattative meticolose - prevede quote di importazione per i prodotti più sensibili come manzo, pollame, zucchero. La quota senza dazi riguarderebbe l’equivalente di due petti di pollo l’anno per ogni cittadino europeo. Si sappia d’altra parte che, tra le mille cautele, c’è anche quella dell’applicazione graduale della liberalizzazione, che durerà 10 anni. Per non parlare dei 6 miliardi che Bruxelles ha già stanziato per l’agricoltura per attenuare gli effetti della novità.

Il problema, ripetiamo, è politico, perché in Francia la Le Pen cavalca una dura contestazione e perché in Italia il peso politico di Coldiretti (ben insediata molto dentro il ministero dell’Agricoltura, quarto partito della coalizione) è ben più consistente di quello di Confindustria. Peccato che il problema dovrebbe riguardare invece una categoria senza voce, quella dei consumatori. Milioni di famiglie che dalla riduzione dei prezzi e dallo sviluppo delle esportazioni avrebbero molto da guadagnare.

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