Mostrare la bussola in punta di piedi

MONDO. Quale sarà la cifra del ministero di Leone XIV? Ieri mattina su quel sagrato con dentro il mondo chi ha cercato una risposta rapida non l’ha trovata.

La Messa di inizio del Pontificato è un istante, che indica la precisione di un momento e l’avvio di un processo. Robert Francis Prevost ha segnato il punto di partenza e non ha indicato la meta. Chi si aspettava il «Manifesto del Pontificato», chi credeva di ascoltare un discorso programmatico, pronunciato davanti agli Stati Generali del potere laico e religioso globale, è tornato deluso. Leone XIV ha soltanto indicato la via del Vangelo, libro antico che assomiglia ad una bussola e ha chiesto di osservarla ogni tanto con sguardo limpido, senza calcoli, senza riserve, senza maschere. Ha parlato di «amore» e «unità», di incontri da intrecciare, di percorsi da fare insieme, cosicché acquistino ricchezza da tutti i compagni di viaggio.

Leone XIV è entrato nella storia in punta di piedi

Leone XIV non ha inchiodato alle porte della Basilica di San Pietro alcuna tesi personale. È semplicemente entrato nella storia in punta di piedi. La missione implica un fermento e non generiche dichiarazione programmatiche. Se c’è una parola chiave del Pontificato di Robert Francis Prevost dal pomeriggio della fumata bianca è proprio «fermento», che associa un processo vivace e dinamico, ma che al contempo ha bisogno di pazienza e di lentezza per essere efficace.

In questa prima settimana di Pontificato ha ripetuto più volte che davanti ad un mondo impaziente, dove ogni rapporto si fa sempre più corto e veloce, dove ogni comunicazione per essere utile deve durare meno di un baleno, occorre rallentare e proporre messaggi in grado di scavare in profondità. Come un fermento, appunto. Leone XIV dimostra di essere molto

«Occorre rallentare e proporre messaggi in grado di scavare in profondità»

preoccupato da un mondo che si ferma alla percezione e che rischia di osservare di conseguenza ogni cosa come fuori fuoco. Nelle sue parole si sente il respiro della passione per una comprensione progressiva, lontana da fissità ed equilibrismi, della storia degli uomini secondo il Vangelo. Prevost è apparso sicurissimo del fatto che per capire il Vangelo, e quindi per ben usarlo, occorre entrare nella storia e non uscirne, diventare «fermento» della missione in un tempo di discordie stratificate e inestricabili. D’altra parte è questo il monito dell’anello che gli hanno messo al dito, anello del pescatore, uno che getta le reti continuamente, mai soddisfatto del risultato della pesca.

Cosa deve fare un Papa pescatore?

Tirar su dal fondo l’umanità, salvarla dal male, pescatore di uomini e non di visioni politiche o religiose che meglio si adattano al consenso per il pescatore. Se c’è una caratteristica, che Prevost in questi giorni ha evocato come cruciale per un Pontefice, è quella dell’inquietudine, concetto che apre e non chiude, concetto caro a Sant’Agostino l’uomo inquieto del passaggio dal mondo romano al Medioevo, l’uomo inquieto della ricerca di Dio. Il Papa ieri ha dunque mostrato la bussola, che indica la via, nell’impresa di Dio, della pari cittadinanza di tutti i popoli, insomma fratellanza, secondo la migliore tradizione della Chiesa. Poi ha precisato lo stile, alieno da ogni tentazione di condottiero solitario, superuomo ecclesiastico, leader di un gruppo, padrone delle persone.

Con la sua peculiarità nel solco di Papa Francesco

Ha sottolineato che unità non significa uniformità, ma rispetto delle differenze, pluralismo che muove dalla chiarezza sui valori senza per questo schierarli come strumenti di battaglie culturali o religiose. Prevost ha dimostrato di saper benissimo ponderare e valutare attentamente le parole da usare. Forse c’è meno empatia nel suo linguaggio, sicuramente meno spontaneità rispetto ai registri di Jorge Mario Bergoglio. Ma la volontà di proseguire nel solco dei processi aperti da Francesco è precisa.

Il vero nodo di chi contestava Francesco, o mal lo sopportava, era il Concilio, la Chiesa di popolo, una Chiesa dentro la famiglia umana, la Chiesa della «Gaudium et Spes». E poi la pace, che i denigratori ritenevano un capriccio di Bergoglio. Prevost ha chiuso subito la bocca a tutti: «La pace è Gesù». E ha messo davanti a sé il santo popolo di Dio e lui dietro «servo della vostra fede e della vostra gioia», scelto «senza alcun merito» per costruire «insieme» una Chiesa che si «lascia inquietare dalla storia».

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